Come ci si sente quando si è (italiani) poveri?
16/07/2014 di Clementina Coppini
Confusi. Più che sentirsi male è così che ci si sente. Non so se sono i tempi o sono io, ultimamente continuo a incontrare persone che hanno perso il lavoro e che non hanno un soldo bucato. Incontro anche persone contente e soddisfatte, ma – saranno i tempi o sono io – mi pare che gli incontri ravvicinati con i disgraziati del terzo tipo siano molti di più. Sono di tutte le età, la sfiga essendo un fenomeno trasversale all’umanità in tutti i suoi edipici stadi d’età. Certo, l’importante è la salute. Eccome no. Nel momento in cui stai lottando contro una malattia non pensi ai soldi, poi però, appena ti senti un po’ meglio, ti torna il pensiero della loro mancanza. Meglio perdere il lavoro e mantenere la salute, però la disoccupazione è una faccenda pesante, soprattutto se hai delle bocche da sfamare, compresa la tua. La povertà e la mancanza di prospettiva fanno ammalare. Conosco gente che non riesce a dormire da mesi per via delle preoccupazioni, che non può permettersi un giorno di vacanza pur essendo tecnicamente a spasso. Sì, conosco gente che vive in quella zona morta che è la soglia della povertà o che questa soglia l’ha già varcata, diventando oggettivamente povera. Mi stavo chiedendo appunto se i poveri li trovo solo io quando sono usciti i dati Istat sulla povertà nel nostro paese. No, i poveri non li trovo solo io.
NOCCIOLINE – Avete notato come hanno dato l’altro giorno al tiggì la notizia che più di sei milioni di italiani vivono sotto la soglia di povertà? E che un italiano su dieci vive nella povertà assoluta? Esattamente come un attimo dopo davano la notizia che Messi c’era rimasto male che non aveva vinto i Campionati del Mondo di calcio. Come se fosse un po’ la stessa cosa. Con tutto il rispetto per il giovane campione, che è uno che di cose brutte ne ha viste e che non è cresciuto in lussi e agi, non è proprio la stessa cosa e non si possono dare queste notizie con lo stesso tono, con la medesima pacatezza e un rimarchevole distacco professionale. Come se fossero solo numeri. Non capirò mai perché questo genere di notizie, che sono agghiaccianti, vengono usualmente posizionate tra lo sport e il servizio culturale del giorno, tra un campione afflitto e i film più visti della settimana. Queste notizie non vengono ritenute meritevoli di approfondimento e riflessione, eppure un italiano su dieci non sono noccioline. In più, molti di questi italiani sono bambini. Anzi, non è vero che non capisco, lo capisco benissimo, ma preferisco non concentrarmi sull’argomento, non pensarci. Perché viene l’estate e per altri motivi meschini e beceri, che conosco io e conoscono tutti.
CATORCIO FUMANTE – Ma cosa vuol dire povertà relativa e povertà assoluta? Allora, come da Wikipedia, povertà relativa è “un parametro che esprime la difficoltà nella fruizione di beni e servizi, riferita a persone o ad aree geografiche, in rapporto al livello economico medio di vita dell’ambiente o della nazione. Questo livello è individuato attraverso il consumo pro-capite o il reddito medio, ovvero il valore medio del reddito per abitante, quindi, la quantità di denaro di cui ogni cittadino può disporre in media ogni anno e fa riferimento a una soglia convenzionale adottata internazionalmente che considera povera una famiglia di due persone adulte con un consumo inferiore a quello medio pro-capite nazionale.” Vuol dire che se il calciatore XY ha la Ferrari e tu un vecchio catorcio fumante sono un po’ cavoletti tuoi, ma forse riesci ancora a permetterti la spesa al discount. Invece la povertà assoluta (o estrema) “è la più dura condizione di povertà, nella quale non si dispone – o si dispone con grande difficoltà o intermittenza – delle primarie risorse per il sostentamento umano, come l’acqua, il cibo, il vestiario e l’abitazione. La Banca Mondiale considera tale la condizione di povertà di chi vive con meno di 1,25 dollari al giorno.” Cioè meno di un euro. Ma è mai possibile, avrò copiato male la virgola? No, è proprio così. Altro che la Ferrari, qui non c’è nemmeno il vecchio catorcio fumante, che, con il potere d’acquisto di un euro al giorno, si configura come un lusso.
FILOSOFO SUDAMERICANO – E come fanno questi poveri diavoli, anzi questi poveri cristi? Lo so come fanno, perché ne conosco qualcuno. So anche come si sentono. Di schifo. Infelici, con il senso di soffocamento e anche con i sensi di colpa. Anch’io nel mio piccolo – e mi ritengo una privilegiata – come consumatore ho iniziato negli scorsi anni a fare sempre più fatica. Ma queste persone non sono più nemmeno consumatori: sono soltanto consumati, ma non dal fatto di non poter consumare quello che consumavano prima. Sono consumati (nel senso di consunti) e basta, fanno fatica e basta. Hanno la stessa espressione di Messi dopo aver perso la finale, con la differenza che loro non hanno l’ingaggio né gli sponsor. A volte penso che fare questi discorsi è qualunquista, che tanto è inutile perché si finisce per ripetere sempre le solite baggianate. Be’, iniziamo a dirle e ripetiamole pure, queste baggianate, che male non fa. A proposito di sport, per cominciare una riflessione sull’argomento vale la pena citare la massima di un filosofo brasiliano, Ayrton Senna: “I ricchi non possono vivere su un’isola circondata da un oceano di povertà. Respiriamo tutti la stessa aria. Bisogna dare a tutti una possibilità”.