Cosa succede davvero con la Siria (e in Siria)

10/09/2015 di Mazzetta

Sfollati in fila per il cibo ad Aleppo  (Photo credit Fadi al-Halabi/AFP/Getty Images)
Sfollati in fila per il cibo ad Aleppo (Photo credit Fadi al-Halabi/AFP/Getty Images)

ERDOGAN GIOCA DA SOLO  –

A complicare le cose ci si è messa la crisi turca, con Erdogan che ha deciso di buttare nel pattume l’accordo di pace con i curdi e di bombardarli, riaccendendo così un conflitto con i curdi turchi e fomentando le violenze contro la minoranza da parte dei nazionalisti e degli estremisti del suo partito. Erdogan è deluso e furioso, è diventato presidente dopo aver esaurito i mandati da primo ministro, si era preparato un palazzo imperiale per l’occasione, ha mandato il paese alle urne dopo aver fatto pace con i curdi e sperava che il suo AKP avrebbe conquistato la maggioranza qualificata che gli avrebbe permesso di trasformare la Turchia in una repubblica presidenziale. Invece l’AKP ha perso anche la maggioranza assoluta che deteneva e poi non è riuscito a formare un governo di coalizione. Così si ritorna alle urne ed Erdogan ha scatenato l’inferno contro l’HDP, una coalizione votata dalla sinistra, dai verdi e dai curdi che prendendo il 13 è entrata in parlamento e ha tolto all’AKP molti seggi che questo aveva conquistato perché al voto precedente solo 3 partiti avevano superato l’altissima soglia di sbarramento posta al 10%. Così la Turchia è in fiamme e con i curdi si fa la guerra, non solo Erdogan non combatte l’ISIS, ma per i curdi è diventato più pericoloso del califfo e nelle provincie curde finite di nuovo sotto il tallone dello stato d’emergenza sono tornati i guerriglieri del PKK, che avevano cessato le ostilità ed erano andati ad aiutare i fratelli siriani contro l’ISIS.

I SAUD CONTINUANO A CREARE PROBLEMI E CONFLITTI –

Non bastasse, anche altri attori attivi in Siria hanno altri problemi altrove, i sauditi hanno lanciato una guerra per imporre il governo desiderato allo Yemen e i paesi del Golfo hanno seguito, ma con i loro alleati sono attivissimi anche in Egitto e in Libia, un attivismo che faticano a sostenere dopo aver contribuito a sdraiare il prezzo del petrolio. Soffrono le loro casse, pur pingui, ma soffre anche una monarchia intrigante che comunque può contare su una popolazione poco numerosa e pugnace, come tutte quelle del Golfo mantenuta e accudita da legioni di espatriati. Il denaro dei sauditi non è riuscito per ora a comprare l’impegno di chi gli uomini ce li ha, su tutti Pakistan ed Egitto, governi pluridebitori dei Saud, ma non tanto da arrivare a mandare militari di cui hanno enorme bisogno a combattere una guerra che per loro, e non solo per loro, non ha senso. Così la grande coalizione annunciata alla vigilia dell’attacco allo Yemen si è rivelata la solita alleanze dei paesi del Golfo, ma senza l’Oman, che non ne ha voluto sapere. La paranoia dei sauditi nei confronti dell’Iran non basta a giustificare lo show di forza in Yemen, che dopo 4 mesi di bombardamenti s’appresta a imboccare la strada delle tragedia umanitaria. Centinaia di migliaia di persone sono già fuggite, persino in Somalia, e il blocco dei rifornimenti imposto dai sauditi a un paese che da sempre dipende dagli aiuti internazionali, si mostra a mostrarsi al mondo per quello che è: un crimine contro l’umanità.

LEGGI ANCHE: Erdogan rimanda la Turchia al voto

IL DESTINO DI ASSAD –

L’idea americana e occidentale che Assad non possa far parte del futuro della Siria si scontra con l’evidente determinazione del siriano e del suo regime a rimanere al potere, ma soprattutto manca di rispondere alla domanda su quello che arriverà dopo Assad. Svanito il regime, nel paese rimangono solo l’ISIS, la coalizione variamente islamista di cui fa parte al Nusra e i curdi barricati nelle loro province. Milioni di siriani che in teoria dovrebbero votare per un nuovo governo sono ormai fuori dal paese, dove restano gli abitanti delle zone protette dal governo, destinati in parte a fuggire in caso di sconfitta di Assad e le formazioni armate d’ispirazione islamista, nessuna delle quali sarà disposta a deporre le armi anche nel caso sparisca l’ISIS, che non può e nemmeno vuole essere inclusa in altro che non sia il suo delirio. Ma perché accada occorrerà un’altra fase di guerra che dopo aver spazzato Assad si rivolga contro gli uomini del califfato. Sostenere ora Assad, invece, vorrebbe dire tradire i siriani che gli si sono ribellati e ai quali l’Occidente ha promesso aiuto e detto che erano nel giusto e combattere insieme all’ISIS, almeno quelli che non accetteranno un compromesso che manterrà il regime al potere. L’ipotesi sembra poco percorribile anche lasciando mano libera ai russi, magari sbraitando contro Mosca, ma è difficile che Putin s’assuma un compito tanto ingrato e oneroso solo per salvare la base navale russa in Siria, serve sicuramente di più per motivare il Cremlino a un’avventura del genere mentre è impegnato nella crisi ucraina e piegato da sanzioni e prezzi di gas e petrolio ai minimi. Quello che è certo è che soluzioni all’orizzonte per la Siria non ce ne sono, non ci sono nel paese e non ci sono nei piani delle potenze mondiali e regionali immischiate nella guerra civile siriana, sarà per questo che quel che resta di Assad sembra essere rimasto l’unico appiglio visibile al quale ancorare le sorti di un paese distrutto da un incredibile accanirsi di sanguinosi velleitarismi e ingerenze criminali.

Share this article