Come va la guerra in Yemen

04/09/2015 di Mazzetta

hadi

L’INUTILE HADI –

Dopo due anni di «governo» che non ha governato e il tentativo di far passare una riforma costituzionale e una divisione federale del paese che non piaceva a nessuno, Hadi è stato prima sollevato de facto dall’incarico e poi dimesso dall’intervento degli Houthi, che hanno invaso la capitale prima con enormi manifestazioni e poi con milizie che non hanno trovato resistenza. Il 22 gennaio 2015 il presidente Hadi, e il Primo ministro Baḥaḥ, hanno rassegnato le dimissioni, secondo la Costituzione la carica di presidente ad interim dovrebbe passare al presidente del Parlamento, figura ritenuta vicina a Saleh. E gli uomini di Saleh continuano a controllare l’esercito, bastione del vecchio regime armato dagli americani e dai sauditi. Houthi e vicini a Saleh hanno quindi preso la guida di una discussione politica dalla quale erano stati espulsi sia Hadi che i sauditi, anche perché sia gli Zaydi che Saleh sono per un paese unito e ragionano di conseguenza sulla creazione di un governo nazionale. Una discussione nella quale gli Houthi rivendicavano il ruolo di kingmaker più che il potere, una discussione poi dispersa dalle bombe dei Saud. La sorpresa è arrivata quando Hadi si era dimesso e tutti stavano già meditando come rimpiazzarlo, e lui invece è rispuntato ad Aden, il 21 febbraio, e si è detto di nuovo in carica smentendo le dimissioni. Giusto qualche giorno, poi è fuggito in Arabia Saudita non appena i suoi nemici si sono diretti sulla capitale del Sud, che nel frattempo aveva dichiarato nuova capitale del paese, e da Riyad ha invocato l’intervento saudita.

IL PRESIDENTE FANTOCCIO –

Da allora Hadi sta in Arabia Saudita, nomina membri scegliendoli tra gli yemeniti all’estero i membri di un governo che i paesi della coalizione prendono sul serio e del quale nemmeno l’ONU sembra contestare la legittimità e rappresentatività, che è prossima allo zero. La finzione è necessaria perché la coalizione è intervenuta in quanto «invitata» dal legittimo presidente, almeno questa è la finzione legale, ma la finzione ha le gambe corte, perché Hadi in Yemen non lo vuole nessuno. Nessuno infatti ha ritenuto onorevole e giusto il suo prestarsi a scatenare i bombardamenti aerei della coalizione sul suo stesso paese, anche perché ai bombardamenti sono seguiti il blocco aereo e navale del paese, con conseguente crisi degli approvvigionamenti e il precipitare della situazione umanitaria, in un paese nel quale di norma qualche milione di abitanti è a rischio di morir di fame e che tra un po’ non avrà più un ospedale funzionante. In mancanza di fondamentali obiettivi militari, i sauditi bombardano case di dirigenti, sedi di partito, industrie e infrastrutture, l’ultima una fabbrica per l’imbottigliamento, 30 operai morti, nessun valore bellico, in compenso una lunga lista di angherie che aumenta il risentimento degli yemeniti. Secondo le stime delle associazioni umanitarie ci sono 21 milioni di yemeniti che hanno bisogno, proprio ora, di aiuti umanitari. È qui che si nasconde la vera dimensione della catastrofe, numeri imponenti, capaci di far impallidire i pur rilevanti 2.000 morti a causa del conflitto, più della metà civili, un quarto bambini. Poi ci sono i feriti, gli ammalati che non si possono curare o che non si possono portare all’ospedale, le code per l’acqua, per la benzina, per il pane, un paese assediato e affamato.

LE STRATEGIA SAUDITA –

È una strategia, ma è quella sbagliata, non sembra proprio che gli yemeniti si rivoltino contro i nemici di Hadi, che anzi sono legittimati agli occhi di tutti in quanto si battono contro l’ingerenza straniera. Non è chiaro se la volontà dei sauditi d’ingerire sia dettata dall’ostilità agli Zaydi in quanto sciiti, in quanto «alleati» dell’Iran o semplicemente da una tendenza all’egemonia sul Golfo che ha radici antiche, ma è abbastanza chiaro che i sauditi non potranno giovarsi troppo della superiorità aerea e che l’intervento di terra rischia di trasformarsi in un incubo. Tra i paesi alleati infatti solo gli Emirati hanno offerto truppe, che sono già arrivate al Sud e sono già state attaccate. Ma gli Emirati, che hanno introdotto la leva obbligatoria l’anno scorso, hanno una popolazione autoctona che non arriva ai due milioni, mediamente ricca, mediamente istruita e più che mediamente refrattaria alla guerra, in ogni caso ben poco d’aiuto per mancanza di manodopera.

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IL VIETNAM DELL’EGITTO  E DELL’ARABIA SAUDITA ? –

E di aiuto ce ne sarebbe bisogno, anche se i sauditi dicono di aver impegnato 150.000 uomini delle forze di terra e 100 aerei dell’aeronautica militare, se si pensa che gli uomini del «governo» di Hadi non hanno ancora osato sbarcare ad Aden «liberata» dagli Houthi, ma non per questo grati all’autoproclamato presidente-fantoccio, che in Yemen avrà moltissimi problemi a tornare in futuro, data anche la natura vendicativa di molti dei suoi connazionali e le più che esplicite promesse di morte che gli sono state rivolte in quanto traditore del suo paese da più di una fazione. Fazioni che in Yemen sono numerosissime anche all’interno dei gruppi più numerosi, ma nemmeno all’interno di queste fratture si trovano sostenitori di un ipotetico governo Hadi. Un fatto che frustra qualsiasi piano saudita, perché li priva di qualsiasi sponda locale di rilievo e di conseguenza di qualsiasi ragionevole speranza di prevalere militarmente. L’ultima volta di un esercito straniero in Yemen racconta del «Vietnam egiziano» di Nasser, intervenuto negli anni ’60 a favore dell’insorgente repubblica contro il regno zaydita, all’epoca spalleggiato da sauditi e giordani, che repubblicani non sono mai stati, ma che all’epoca brillavano per inconsistenza militare. Una debolezza compensata peraltro dall’efficiente sostegno britannico, che dai tempi dell’impero ottomano continuava a disputarsi il controllo della Penisola Arabica e dei regni che nascevano sotto l’ala protettrice e complice della corona britannica. Un disastro al quale Nasser imputerà la sconfitta subita con Israele, ma anche un monito al giovane principe figlio del nuovo sovrano, il belligerante Salman. Che dovrebbe ricordare che con i 70.000 egiziani dotati di armi chimiche c’era anche lo Yemen repubblicano che ha combattuto con decisione. Finora le sortite saudite in territorio yemenita non sono apparse irresistibili e i Saud in cambio hanno dovuto assistere a diversi bombardamenti entro i loro confini, ai quali hanno risposto a loro volta bombardando pesantemente la capitale degli Houti e altre infrastrutture di nessun interesse militare o strategico. Combattimenti e bombardamenti che non provocano stragi enormi, ma che susseguendosi da mesi hanno spinto verso l’alto il numero delle vittime dirette e soprattutto di quelle indirette del conflitto, che ora a seguito del blocco imposto dalla coalizione rischia di balzare a dimensioni apocalittiche in un tempo brevissimo. L’obiettivo della missione militare guidata dai sauditi è quella d’imporre il governo di Hadi, Hadi in Yemen non lo vuole nessuno e ora anche i sauditi hanno accusato un crollo della loro popolarità. I Saud hanno in mano un candidato bruciato e nessun alleato di peso in un paese che rischia di frantumarsi e di diventare una festa per i qaedisti alle porte di casa, qualche conto devono averlo sbagliato. Forse sarebbe il caso che qualcuno si decidesse a spiegarglielo bene, prima che in Yemen vada a finire veramente male.

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