Commissione Juncker: l’Europa non cambia verso
10/09/2014 di Andrea Mollica
Divide et impera. Dividi e comanda. Angela Merkel ha mostrato di aver una cultura classica superiore ai latini Hollande e Renzi nella composizione della nuova Commissione. La Germania conservatrice ha affidato la significativa ma cerimoniale carica di presidente del Parlamento UE agli alleati interni della Spd, mentre due leader politici molto vicini alla cancelliera tedesca, Donald Tusk e Jyrki Katainen, coordineranno il Consiglio Europeo e la politica economica della Commissione. Grazie alla divisione dell’organismo ideata da Jean-Claude Juncker Angela Merkel ha potuto accontentare senza problemi i leader dei più importanti paesi dell’eurozona, François Hollande e Matteo Renzi, senza cambiare nella sostanza le linee guida dell’UE dopo elezioni caratterizzate dal pareggio tra popolari e socialisti. La cancelliera ha dimostrato tutto il suo pragmatismo, e la sua bravura, accettando il declassamento del Commissario del suo partito, Günther Öttinger. L’ex ministro presidente del Baden-Württemberg è passato dall’Energia all’Economia digitale, dopo esser stato in predicato di ottenere il ben più centrale portafoglio del Commercio, dove avrebbe gestito il Trattato di libero scambio con gli Stati Uniti.
Angela Merkel, la leader che ha imposto il predominio del metodo intergovernativo su quello comunitario nella gestione dell’eurocrisi, si è però ricordata di come l’UE sia un organismo collettivo, dove il singolo commissario, per quanto capace o dotato di un portafoglio rilevante, ha un’influenza piuttosto ridotta. Molto meglio accettare una penalizzazione per la Germania, che sta già suscitando diversi malumori in casa, se il vantaggio è avere uomini molto vicini che permetteranno il consolidamento della propria leadership. La Commissione Juncker, nei nomi dominati dal Ppe e nell’affidamento degli incarichi, non sembra potersi discostare molto dall’orientamento politico ed economico del recente passato, a meno di una svolta a Berlino di cui per ora non si vede traccia. Il duo Moscovici-Kaitainen rappresenterà la dialettica decisiva per il successo o per il fallimento dell’organismo di governo dell’UE, ma innovazioni radicali possono già essere escluse. Come nota il Financial Times, la predominanza di commissari economici di centrodestra renderà ardua la vita del socialista Moscovici. Il pragmatismo e la mediazione estenuante sono stati finora l’essenza di quello “spirito europeo” più volte richiamato dalla Merkel, e rimangono ancora oggi l’unico modo per far funzionare una architettura che deve ma non può essere gestita come uno Stato nazionale, visto che deve rappresentarne 28 con storie e culture spesso conflittuali tra loro.
L’Europa a matrice Merkel è sicuramente poco gradita al presidente del Consiglio Matteo Renzi, che avrebbe avuto bisogno di una Commissione più flessibile di quella coordinata sui temi economici da Jyrki Katainen. La nomina di Federica Mogherini rimane un successo indubbio dal punto di vista dell’interesse nazionale, ma a livello europeo il Pse guidato da Renzi e da Hollande è stato ancora una volta messo in minoranza dalla leader del conservatorismo europeo. Il vero rivale della cancelliera appare in prospettiva proprio l’alleato più fedele, Jean-Claude Juncker. Il presidente della Commissione è un convinto federalista, e in caso di rinnovato stallo dell’UE potrebbe proporre riforme per avviare un approfondimento comunitario di cui ci sarebbe disperato bisogno. La logica del metodo intergovernativo e la conseguente difesa dell’interesse nazionale imposta dalla Merkel sui temi più rilevanti, come i fondi salva euro o l’Unione bancaria, non ha fatto bene all’UE che ha vissuto in questi anni la fase più difficile della sua breve storia. Juncker ne è consapevole, e la volontà di rafforzare politicamente la Commissione valorizzando gli ex primi ministri rappresenta un chiaro senso di inversione di marcia rispetto alla debolezza di Barroso nei confronti delle cancellerie più importanti, a partire ovviamente da Berlino.
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