Cos’è l’ETA e perché fa ancora paura

19/10/2011 di Silvia Morani

Il più famoso movimento per l’indipendenza basca annuncerà una tregua dopo la Conferenza di San Sebastian?


I Paesi Baschi sono un luogo ben diverso dal resto della Spagna. Lo si avverte subito camminando per le strade pulite e ordinate delle città e dei paesini, rimanendo stupiti di fronte al silenzio e alla tranquillità degli abitanti, che contrasta con la caotica frenesia che regna sovrana nelle altre città spagnole, ascoltando di sfuggita qualche spezzone di conversazione in euskara, questa strana lingua che vorrebbero far passare come un dialetto dello spagnolo quando in realtà si tratta di una lingua di cui non si conosce l’origine e che non è imparentata con nessun altro idioma al mondo.

UNA NAZIONE – Ma di cosa si tratta? Di una nazione, di una regione, di una comunità autodeterminata? Un po’ tutte e tre le cose, in realtà. La definizione più corretta sarebbe quella di “comunità autonoma”, ma, come accade nella maggior parte delle comunità autonome spagnole, un buon numero di abitanti la considera una nazione. E sì, nel senso italiano del termine i Paesi Baschi sono anche una regione. I territori compresi sono le provincie di Álava, Guipúzcoa y Vizcaya. Questo, ovviamente, senza contare i Paesi Baschi francesi, che confinano con quelli spagnoli e comprendono i territori di Lapurdi, Nafarroa Beherea e Zuberoa (in francese Labourd, Basse-Navarre, Soule).

L’EUSKARA – Con la dittatura franchista, si cercò di abbattere il più possibile tutte le peculiarità delle comunità autonome spagnole. La persecuzione verso il popolo basco fu una delle più cruente, dal momento che i Paesi Baschi erano sempre stati la regione meno spagnola della Spagna. Fu vietato l’uso dell’euskara in atti pubblici e poi, progressivamente, anche nella vita quotidiana (basti pensare alle migliaia di persone che furono obbligate a “spagnolizzare” il proprio cognome basco). Fu vietato qualunque movimento nazionalista. Fu messa in discussione l’esistenza stessa di una nazione basca. Questo accanimento contro i Paesi Baschi non fece che peggiorare la situazione e si rivelò una terribile arma a doppio taglio. La rivendicazione della propria autonomia da parte dei baschi divenne molto più insistente, fino a sfociare, nel 1959, alla nascita di quella che oggi viene considerata una delle più pericolose organizzazioni terroristiche dell’Unione Europea.

ASKATASUNA – Il 31 luglio di quell’anno, infatti, un gruppo di studenti radicali dissidenti del collettivo Ekin (che in lingua basca significa “azione”) si riunì e decise di fondare un movimento chiamato Euskadi Ta Askatasuna, letteralmente “Paesi Baschi e libertà”, che noi tutti conosciamo con la sigla di ETA. I quattro obiettivi ideologici alla base dell’organizzazione erano la difesa della propria lingua, l’etnicismo, l’antispagnolismo e l’anticlericalismo e l’indipendenza assoluta dei territori di Álava, Vizcaya, Guipúzcoa, Navarra (in Spagna), Lapurdi, Nafarroa Beherea y Zuberoa (in Francia). Presto iniziò una serie di azioni violente: il 18 luglio 1961 fu tentato il deragliamento di un treno di volontari franchisti diretto a San Sebastian. L’attentato fallì, ma Franco cominciò ad intuire il potenziale dell’ETA e la polizia iniziò a cercarne i membri.

L’INDIPENDENZA – Nel maggio del 1962, durante la prima assemblea dell’ETA che si tenne a Bayona, in Francia, il movimento venne ufficializzato, presentandosi come Movimento Rivoluzionario Basco di Liberazione Nazionale e dichiarando di voler perseguire l’indipendenza dei Paesi Baschi attraverso la lotta armata. Una seconda assemblea, celebrata l’anno seguente, mise in evidenza i punti di contatto dell’ETA con l’ideologia comunista. Intanto, gli attentati continuavano ad aumentare e l’appoggio da parte del popolo diventava sempre maggiore.  Il 7 giugno del 1968 venne uccisa la guardia civile José Pardines, il 2 agosto dello stesso anno toccò la stessa sorte a Melitón Manzanas, dirigente della Brigada Social di Guipúzcoa. Ma solo nel 1973, il 20 dicembre, ebbe luogo il primo grande attentato, in cui trovò la morte l’ammiraglio Carrero Blanco, capo del governo e successore designato di Franco, insieme al suo autista e ad un agente della scorta: fu piazzata una potentissima carica esplosiva sotto il manto stradale.

POLIMILIS E MILIS – Nel 1974 trovarono la morte 12 persone – e ottanta risultarono ferite – a causa dello scoppio di una bomba nella caffetteria “Rolando” di Madrid. Il dibattito scaturito in seguito a quest’ultimo attentato provocò la prima divisione interna importante del movimento. Si venne a creare il gruppo dei “milis”, sostenitori dell’insurrezione popolare, contrapposto a quello dei “polimilis”, che avrebbero voluto attuare solo attentati di “violenza selettiva”. Quest’ultima branca del movimento scomparve definitivamente nel 1982. Nonostante poco dopo la morte del generale Francisco Franco nel 1975 sia stata concessa un’amnistia ai membri dell’ETA, gli attentati non ebbero fine. Ma da questo momento, l’organizzazione cominciò a perdere progressivamente l’appoggio popolare. Erano infatti venute meno le ragioni di un tale accanimento contro il potere e la Spagna intera, si stava cominciando a ripristinare lo stato di cose precedente all’ascesa di Franco, i baschi stavano rapidamente riconquistando la libertà che era stata negata loro per decenni. Era sicuramente una ferita profonda che avrebbe necessitato di moltissimi anni per cicatrizzarsi, ma dopo aver vissuto tanta violenza era veramente necessario aggiungerne ancora? Non sarebbe stato meglio tentare di raggiungere i propri obiettivi in maniera pacifica? Queste erano le perplessità che si diffondevano tra la gente comune. I membri dell’ETA evidentemente non la pensavano così. Acciecati dalla propria smania di indipendenza, avevano assaporato la sensazione di potenza, non avevano alcuna intenzione di lasciare il gioco sul più bello.

INFLUENZA E POTERE – E così gli attentati continuarono, affiancati da una serie di assemblee e conferenze che resero l’ETA un movimento sempre più influente e organizzato. Volendo accelerare i tempi di una negoziazione con il governo spagnolo, l’offensiva dell’ETA divenne sempre più cruda e indiscriminata. Il 29 luglio 1979 si verificano contemporaneamente le tre esplosioni all’Aeroporto di Madrid-Barajas e nelle due principali stazioni ferroviarie della capitale, Atocha e Chamartín, che provocarono sette morti e un centinaio di feriti. Il 12 aprile del 1985 una bomba nel ristorante “El Descanso” di Torrejon provoca 17 morti e 82 feriti, tra cui molti americani della vicina base aerea. L’attentato fu rivendicato anche dalla Jihad islamica. Il 15 luglio del 1986 morirono 12 agenti della Guardia Civile a causa dell’esplosione di una macchina in Plaza de la República Dominicana di Madrid. Meno di un anno dopo, il 18 giugno del 1987, un’altra macchina bomba nel parcheggio dell’enorme supermercato Hipercor di Barcellona, provocando la morte di 21 persone. L’11 dicembre dello stesso anno, con la stessa tecnica, un’esplosione di fronte alla Casa Cuartel di Saragozza lasciò un bilancio di 11 morti e 40 feriti. Intanto nel 1978 era nato Herri Batasuna, il partito nazionalista considerato il braccio politico dell’ETA.

IL PATTO DI MADRID – Il governo spagnolo – e non solo – cominciò ad aver paura. Nel 1984 la Francia concesse l’estradizione in Spagna di tre presunti membri dell’ETA. Vari partiti politici spagnoli si attivarono contro l’ETA con iniziative come il Patto di Madrid (1987), il Patto di Ajuria Enea (1988) e quello di Navarra, nello stesso anno. Nel 1989 si tentò, ad Algeri, un dialogo. Dopo tre mesi di trattative, l’ETA annunciò una tregua che interruppe poco tempo dopo. Il 29 marzo del 1992, poco prima delle Olimpiadi di Barcellona, la polizia riuscì finalmente a catturare alcuni tra i capi dell’organizzazione. L’operazione, chiamata “Golpe de Bidart”, provocò una grave crisi all’interno del movimento, che si vide costretto a creare da zero una nuova organizzazione interna. I nuovi capi dell’ETA proposero una tregua di due mesi tentando nuovamente di instaurare un dialogo, ma anche stavolta il tentativo fallì e si ricominciò con gli attentati.

METODOLOGIA IDENTICA – Oltre a quelli già citati, ricordiamo tra i più violenti e sanguinosi quello del 1993, che vide l’esplosione di una macchina bomba al passaggio di una camionetta militare a Madrid e provocò sette morti (sei militari e un civile) e 36 feriti, quello del 1995, attuato con la stessa metodologia e nel quale morirono sei civili, e una serie di altri attentati avvenuti dopo il 2000, tra cui quello a Bilbao, nel 2008, che colpì la sede principale dell’Euskal Irrati Telebista, la radiotelevisione basca, e quelli del 29 e 30 luglio avvenuti rispettivamente a Burgos e a Maiorca, che provocarono complessivamente due morti e 65 feriti. Nel frattempo, dopo l’11 settembre  l’UE inserì l’ETA nella lista delle organizzazioni terroristiche, seguita nel 2003 dagli USA. Negli ultimi anni numerosi furono gli arresti di Etarras (nome spagnolo usato per indicare i membri dell’ETA), ma le attività del movimento non si sono ancora fermate e l’organizzazione ha continuato ad accrescere il suo potere e i suoi membri.

LA CONFERENZA DI PACE – Dopo altalenanti vicende di tregue annunciate e poi interrotte pochi mesi dopo, si è giunti due giorni fa alla celebrazione della Conferenza di Pace di San Sebastian, non riconosciuta ufficialmente dal governo spagnolo ma molto importante a livello internazionale. Hanno partecipato importanti personalità come il premio Nobel per la pace Kofi Annan, i tre artefici della pace in Ulster (l’ex premier di Dublino Bertie Ahern, l’ ex «braccio politico» dell’ indipendentismo nord-irlandese Gerry Adams e l’ ex capo di gabinetto di Londra Jonathan Powell) e tutti i partiti e sindacati baschi. La Conferenza è terminata con un documento che chiede all’ETA di interrompere definitivamente la lotta armata. Resta ancora un’incognita la risposta del movimento: c’è chi è convinto che ci sarà una dichiarazione (ma restano comunque dubbi su quello che potrebbe essere il contenuto) e chi invece preferisce non sperarci troppo.

NESSUNA PREVISIONE – Insomma, quello che succederà non si può ancora prevedere. Quello che accadrà nei prossimi giorni potrebbe segnare la fine dell’ “ultimo conflitto armato d’Europa” (come l’ha definito Kofi Annan) così come rivelarsi l’ennesimo fallimento. Ma una cosa è certa: per quanto le azioni dell’ETA in questi anni non possano essere applaudite, il più famoso movimento per l’indipendenza basca ha indubbiamente giocato un ruolo importantissimo nella storia della regione e nella costruzione di una coscienza nazionale collettiva. E forse, se i baschi riusciranno a fare tesoro di quest’esperienza, potrebbero col tempo riuscire a raggiungere gli obiettivi di Euskadi Ta Askatasuna. Auspicabilmente, in maniera più pacifica.

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