Il Peso e l’Argentina che continua a farsi del male

05/02/2014 di Mazzetta

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L’INDISPENSABILE – La presidenta si è trovata a prendere le redini di un paese disintegrato dalle politiche ultraliberiste di de la Rua e Menem, che da allora nel paese si sono giocate ogni credibilità convincendo la maggioranza degli argentini che quelle ricette erano sbagliate e che la coalizione tra peronisti e minoranza di sinistra era l’unica alternativa praticabile a lasciare di nuovo licenza di saccheggio a chi ne aveva approfittato senza ritegno sprofondando il paese nel baratro. Un blocco sociale che allo scoppiare della crisi aveva da tempo salvato tutto il salvabile all’estero e che ha subìto molto relativamente il disastro che ha travolto il paese. La fuga dei capitali all’estero è sempre stato un problema chiave per l’economia e il governo argentino e la dannazione per la moneta locale, il peso ora convertibile, che nelle ultime settimane è crollato, pare sotto il peso della scarsità di dollari nel paese. In compenso Fernandez ha potuto capitalizzare la sua indispensabilità attraversando indenne lunghi periodi nei quali il suo gradimento è stato ai minimi storici, diventando per sostenitori e avversari «la regina» e non solo perché ha esibito negli anni un guardaroba tanto sterminato e lussuoso da avere pochi paragoni nella storia e quasi nessuno lusinghiero.

OLTRE L’APPARENZA – Anche in questo caso è difficile capire quanto certi aspetti dell’immagine che si è costruita la regina Cristina Fernanda Kirchner siano spontanei, visto che è stata sempre evidente la sua volontà di proporsi come un’Evita dei giorni nostri e di evocare nell’immaginario di buona parte degli argentini e dei peronisti in particolare il ricordo di tempi ormai ricoperti dalla patina del mito. Mito che tuttavia non le ha consentito di mettere sotto il blocco degli agrari, i moderni latifondisti, quando il prezzo della soia era alle stelle sui mercati internazionali e lei ha presentato un aumento delle tasse sull’export, è finita in minoranza anche nel suo partito.

LA MINA DELLA SVALUTAZIONE – Il mito e il consenso elettorale però hanno potuto poco contro lo scivolare nel baratro del peso convertibile (ARS). Il peso ha sostituito l’Austral nel 1992, sulle banconote c’è il simbolo del dollaro a significare una parità del cambio che è sempre stata più un pio desiderio che la realtà. Ancorare il peso o altra moneta debole al dollaro o altra moneta forte, dovrebbe servire idealmente a stabilizzarne il corso e a tagliare le gambe alle enormi speculazioni sui cambi che diversamente sono praticabili sia dalla finanza internazionale che da imprese e cittadini, che nei paesi con moneta debole svendono la moneta nazionale per mettere al sicuro risparmi e guadagni dalla valutazione che giudicano inevitabile. Dinamiche mortifere conosciute anche dalla storia del nostro paese, che a lungo si è trascinato nella spirale delle svalutazioni competitive aggravata dai comportamenti opportunisti di quanti potevano permetterseli.

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