Don Mazzi e don Rigoldi spiegano il disagio giovanile
18/04/2017 di Redazione
I giovani di oggi, adolescenti o appena ventenni, sono spesso protagonisti di drammatici casi di cronaca. Negli ultimi mesi un ragazzo di Lavagna si è suicidato dopo il rimprovero della madre sul consumo della cannabis. Ad Alatri il giovanissimo Emanuele Morganti è stato ucciso da un gruppo di ventenni per motivi futili, insensati. Ed è proprio questo disagio che esplode in gesti incomprensibile che il quotidiano Avvenire vuole indagare, in un’inchiesta sul mondo giovanile lanciata oggi con le interviste a due sacerdoti, don Antonio Mazzi e don Gino Rigoldi. Don Mazzi come don Rigoldi sono due preti milanesi, attivi da molti anni nella parte più problematica del mondo giovanile. Exodus di don Mazzi rappresenta una delle comunità per il recupero dei tossicodipendenti più importanti del nostro Paese, mentre don Rigoldi è il cappellano del carcere minorile di Milano, oltre che fondatore di Comunità nuova. Don Mazzi evidenzia nel colloquio con Avvenire come le modalità di sostegno ai giovani ormai siano cambiate del tutto rispetto al passato.
Un drogato prima o poi lo convinci a non drogarsi più. Ma con questa nuova povertà di speranza, con questa malattia che appesta tutti dentro, è difficilissimo combattere.È come se (i ragazzi, ndA) avessero una domanda, su se stessi e sul senso della vita, che rimane lì. E che rimane lì per anni, diventa una ferita. C’è una nostra povertà che appesta loro, perché è innegabile: i ragazzi di oggi hanno davanti adulti più fragili. E hanno più domande di quelle che avevano vent’anni fa, più disordinate.
Le parole di don Mazzi sono echeggiate nel commento di don Gino Rigoldi. Il sacerdote milanese evidenzia anch’egli come in questo momento tanti ragazzi abbiano una crisi di senso, provocata dalla mancanza di insegnamenti come di relazioni, che ai giovani che incontra mancano tremendamente.
L’educazione ha un sinonimo che si chiama relazione. Stare con gli altri. È come si sta con gli altri che ci qualifica e li qualifica. Due sono le caratteristiche che solitamente li contraddistinguono: hanno una storia di drammatica povertà personale (economica, affettiva, scolastica). E non hanno alcuna stima di se stessi, nessuna idea di futuro. Il futuro, per intenderci, è stasera. Lo stesso vale per i quattro ragazzi di cui mi chiedi. Non sanno da che parte sono girati, non hanno cognizione di quello che sono prima ancora che di quello che hanno fatto, e che ora devono o possono fare.Oggi è tutto cambiato: questi ragazzi dalla famiglia non si sono separati eppure hanno drammaticamente bisogno di paternità, d’essere accompagnati, di vedersi riconoscere un valore. Se ho paura, di questi giovani, per loro non posso fare nulla. Quello che faccio invece è stare con loro. Parlare con loro. Il linguaggio, eccolo uno dei mali del nostro tempo. Manca il linguaggio per parlare con questi ragazzi, prima ancora che per capirli.
Foto copertina: ANSA/WEB