Dorina Bianchi, la sottosegretaria alla Cultura “regina” del trasformismo

30/01/2016 di Alberto Sofia

C’è chi sbandiera di voler “cambiare verso“. O chi si dedica al cambio di casacca. Per frenare le fibrillazioni dentro Ap-Ncd e assicurarsi un percorso meno complicato a Palazzo Madama sulle Unioni Civili, Matteo Renzi ha premiato con poltrone pesanti gli “ex diversamente berlusconiani” di Alfano. E, nel grande suk del rimpasto di governo, non poteva certo mancare un incarico per Dorina Bianchi, la deputata promossa dal premier sottosegretario alla Cultura. E già nota in Transatlantico come “regina” del trasformismo.

Photocredit. ANSAFOTO

DORINA BIANCHI PROMOSSA SOTTOSEGRETARIO ALLA CULTURA: RECORD DI CAMBI DI CASACCA, 7 IN 15 ANNI (PER ORA)

Il motivo? Dal 2001 in Parlamento, Bianchi non si è fatta troppi problemi a passare da una sponda all’altra dell’emiciclo. O da un partito all’altro. Ne ha cambiati ben sette in quindici anni. Esordì e fece il suo ingresso alla Camera con il Centro Cristiano democratico di Pierferdinando Casini, all’interno della coalizione di centrodestra della “Casa delle Libertà”. Poi aderì all’Udc, seguendo lo stesso Casini. Nel 2005 il primo “tradimento”. Lo strappo la porta al gruppo Misto per qualche settimana, poi alla Margherita di Francesco Rutelli. Con il Porcellum nel 2006 riesce a blindare la sua rielezione, capolista dell’Ulivo in Calabria, lei che è pisana di nascita, ma crotonese doc.

Passa un anno e partecipa alle elezioni primarie del Pd, nella lista “Democratici per Veltroni”, eletta in assemblea nazionale. Sarà la rampa di lancio per la candidatura nel 2008, sempre al Nazareno, nella corrente dei fioroniani.


Lo spot di Dorina Bianchi alle elezioni del 13-14 aprile 2008, ai tempi Pd

Ma la liaison non durerà troppo: «Dentro il Pd ero un ospite, si è allontanato dal riformismo e si è spostato a sinistra e verso Di Pietro. Meglio un fronte comune con i cattolici moderati», denunciò per motivare il ritorno, nelle vesti della “figliol prodiga“, da Casini e all’Udc. Partito che tradì ancora, questa volta per passare alla corte del Cav. Era il 2011 quando venne candidata sindaco a Crotone per una coalizione locale di centrodestra, sull’asse Udc-Pdl. Si ritrovò per un comizio sul palco con lo stesso Cav, che ne approfittò per lanciare attacchi contro lo stesso Casini, allora leader del partito di Dorina Bianchi. Lei replicò con un sorriso e non difese il suo capo, che non la prese di certo bene. «Non mi sono accorta proprio di nulla. Mi sono ritrovata sul palco insieme a Berlusconi e subito c’é stato un vero boato, una folla bellissima che applaudiva, un piccolo trionfo. Mentre lui parlava, io non è che stessi lì a memorizzare le sue frasi», provò a difendersi. Prima di passare nello stesso Pdl. Poteva certo mancare un nuovo salto, quando l’ex delfino del Cav decise di strappare con Berlusconi? Era il 2013 e Bianchi seguì pure la scissione dei “diversamente berlusconiani“. Che rimanevano al governo. L’ultimo approdo, in ordine di tempo. «Ma l’ottavo arriverà presto…», provocano da mesi tra i corridoi parlamentari, dove viene indicata tra i nomi che potrebbero fare il grande salto nel Pd renziano. «Quantomeno ha già un seggio assicurato per il 2018», spiegano i maligni, in caso di convergenza tra Alfano e Renzi imposta dall’Italicum.

DORINA BIANCHI, L’AMICA DI BOSCHI CHE SOGNAVA IL MINISTERO DEGLI AFFARI REGIONALI. MA ALFANO HA IMPOSTO COSTA

Di certo, la sua carriera lo dimostra, centrodestra o centrosinistra  non sembra fare troppa differenza per Dorina Bianchi. In fondo, quasi perfetta in tempi di Opa verdiniana in Parlamento e di laboratori del Partito della Nazione. Ora riciclata filo-renziana come le colleghe Simona Vicari e Federica Chiavaroli (non a caso nel risiko delle nomine), la deputata crotonese puntava in realtà al gran colpo. A quel ministero degli Affari regionali lasciato libero dalla conterranea Maria Carmela Lanzetta. Nulla da fare, per il niet interno. E non è bastato nemmeno lo sponsorizzazione di Maria Elena Boschi, la numero due di Palazzo Chigi diventata sua grande amica. Perché il ministro dell’Interno si è impuntato sul nome di Enrico Costa, suo fedelissimo e già relatore di quel “lodo Alfano” poi bocciato dalla Consulta. Sarà lui a guidare il dicastero. Così per Dorina resterà soltanto il posto che fu della dem Barracciu, lasciato a casa di grane giudiziarie.

Pazienza se la nomina alla Cultura di Dorina Bianchi, iper-cattolica e medico di professione, poco abbia a che fare con le sue competenze. Di certo la neo sottosegretaria, oltre che per i suoi cambi di partito, è nota per le sue posizioni tutt’altro che progressiste sui temi “etici”. Basta ricordare quando Bianchi, già relatrice della legge 40, fece campagna per l’astensione al referendum abrogativo. O quando si spese per il Family Day del 2007, lo stesso che Renzi – allora presidente della provincia di Firenze, difendeva. «Grave errore non comprenderne la portata», diceva l’attuale premier, che ora invece punta a far passare il disegno di legge Cirinnà, dopo anni di attese e tentativi falliti. Bianchi, invece, fa ora parte della corrente “dialogante” di Ncd sulle Unioni Civili. Provvedimento che, grazie alle poltrone incassate, Alfano & Co sono pronti a “digerire” senza troppa resistenza, al di là di qualche attacco mediatico e di qualche resistenza tra i senatori più oltranzisti. Così come del referendum abrogativo evocato e sbandierato dallo stesso Alfano. Annunci buoni soltanto per fare “ammuina”. In realtà, bastano le nomine per frenare le fibrillazioni dentro il partito, in perenne rischio diaspora e assaltato da Verdini. Tanto che, provocano le opposizioni e la minoranza dem, Ncd ha ora “più poltrone che voti“. Una la occuperà Dorina Bianchi. In attesa del prossimo “cambio di maglia“.

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