Elezioni in Regno Unito, tre mesi dal voto
07/02/2015 di Andrea Mollica
Le elezioni del Regno Unito si svolgeranno tra tre mesi. Giovedì 7 maggio i cittadini britannici saranno chiamati al voto, e come cinque anni fa anche nel 2015 l’esito più probabile in questo momento appare una nuova coalizione di governo al posto del tradizionale esecutivo monopartitico. I temi decisivi delle elezioni britanniche del 2015 appaiono, oltre all’economia, l‘Europa, l’immigrazione e la Scozia, gli argomenti che più hanno caratterizzato il primo mandato di David Cameron, il premier conservatore in carica dal 2010.
ELEZIONI REGNO UNITO –
L’accordo di coalizione siglato dai Tories di David Cameron e dai Libdem di Nick Clegg, premier e vicepremier britannici, prevede che il 7 maggio del 2015 si svolgano le 56esime elezioni del Parlamento del Regno Unito, o in una data precedente che appare molto improbabile quando mancano ormai solo tre mesi al voto. Cinque anni fa David Cameron aveva riportato al potere i Conservatori, il partito di centrodestra tradizionale punto di riferimento della politica britannica, dopo tredici di governi laburisti. Il leader conservatore non era però riuscito a ottenere una maggioranza assoluta alla Camera dei Comuni, ed era stato costretto ad accordarsi con i Libdem, formazione centrista che aveva condiviso coi Tories l’opposizione ai governi di Tony Blair e Gordon Brown. Per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale si era interrotta la lunga stagione degli esecutivi monopartitici che ha caratterizzato il sistema politico britannico. In questi cinque anni caratterizzati da una faticosa ripresa dalla crisi del 2008, che aveva travolto un’economia così legata alla finanza e al mercato immobiliare come quella del Regno Unito, è stata registrata una crescita delle formazioni minori che hanno ottenuto successi rilevanti nonostante siano escluse dalla competizione tendenzialmente bipartitica per la premiership.
In questi anni è aumentata in modo considerevole l’ostilità all’immigrazione e all’Europa. Questo sentimento ha trasformato gli indipendenti dello Ukip di Nigel Farage in una delle più importanti formazioni della politica britannica, sostituendo i Libdem erosi dall’esperienza di governo come terza forza del sistema. La radicalizzazione anti europea dell’opinione pubblica britannica è stato un tema che ha profondamente caratterizzato il primo mandato di David Cameron. Il premier ha convocato per il 2017 un referendum sulla permanenza della Gran Bretagna nell’Unione Europea, che si svolgerà solo in caso di vittoria dei Tory.
LA SCOZIA
Un altro momento centrale del premierato di David Cameron è legato a un referendum, ovvero la consultazione convocata sull’indipendenza della Scozia. Il 18 settembre del 2014 una maggioranza piuttosto netta degli scozzesi ha deciso di rimanere all’interno del Regno Unito, ma il rafforzamento del sentimento indipendentista ha determinato un effetto rilevante sulla politica britannica. Secondo diversi istituti i nazionalisti scozzesi, lo Snp (Scottish National Party), il partito al governo ora in Scozia e che aveva concordato con David Cameron lo svolgimento del referendum per l’indipendenza, potrebbero diventare la terza forza per numero di parlamentari alla Camera dei Comuni. Fino al 2010 la gran parte dei 59 seggi scozzesi erano vinti dai laburisti. Negli anni successivi alla crisi il partito dei nazionalisti scozzesi si è affermato in modo netto alle elezioni regionali, e ora sembra in grado di vincere una netta maggioranza dei collegi nell’area più settentrionale del Regno Unito. Le previsioni variano da un minimo di poco più di 30 a un massimo di quasi 50 se ci sarà un’alleanza elettorale con un altro partito indipendentista, Plaid Cymru, il partito del Galles. Nei sondaggi sulle intenzioni di voto in Scozia i nazionalisti dello Snp sfiorano il 50%, 20 punti sopra il Labour. In questi anni David Cameron ha guardato con favore all’ascesa dei nazionalisti scozzesi, visto che il loro rafforzamento ha indebolito sensibilmente i rivali laburisti, che hanno perso la loro roccaforte. La stessa rischiosa scelta del referendum, una scommessa vinta che in caso di insuccesso sarebbe probabilmente costata la premiership a Cameron, ha fatto parte di questa strategia pro Scottish National Party, seguita nonostante la contraddizione con la tradizionale linea centralista dei Conservatori. I laburisti sono la formazione più danneggiata dall’affermazione dei nazionalisti scozzesi, a cui hanno risposto proponendo un processo di ulteriore decentralizzazione del Regno Unito. La comunanza ideologica tra Labour Party e Snp potrebbe però favorire un’alleanza di governo. Secondo numerosi osservatori, tra cui Deutsche Bank, come spiega un articolo del Financial Times, l’esito più probabile delle prossime elezioni britanniche è un governo a guida laburista sostenuto in Parlamento dai nazionalisti scozzesi. Queste due formazioni hanno un orientamento di centrosinistra, e condividono diversi punti programmatici, come la difesa dei servizi pubblici e del Welfare.
ECONOMIA
Uno dei problemi maggiori del Labour Party di Ed Miliband è la diffidenza della comunità finanziaria e industriale nei loro confronti. Nei giorni scorsi i media del Regno Unito hanno dato grande spazio alla polemica tra uno degli uomini più ricchi della Gran Bretagna, Stefano Pessina, e i laburisti. Pessina, imprenditore di origine italiana residente nel principato di Monaco e guida di un impero farmaceutico, ha criticato in modo molto aspro il programma economico della formazione di Ed Miliband. Secondo Pessina la vittoria dei laburisti sarebbe catastrofica per il Regno Unito. Il Ceo di Boots, un’azienda che gestisce circa 2500 farmacie in Inghilterra, ha rimarcato gli aspetti negativi del programma economico del principale partito d’opposizione, troppo legato a schemi redistributivi come l’aumento della tassazione per finanziare maggiori servizi sociali. Critiche che sono divampate in un’accesa polemica tra molti esponenti del Labour, tra cui il leader Ed Miliband, che si sono concentrati sul domicilio fiscale monegasco di Pessina, e diversi industriali importanti. Le polemiche tra il mondo del business e Miliband hanno riacceso l’ostilità dell’anima blairana, da tempo critica nei confronti della svolta a sinistra perseguita dal segretario eletto nel 2010. In questi ultimi due anni l’economia britannica si è ripresa, dopo esser stata sul punto di scivolare in una terza recessione nella primavera di quasi tre anni fa. A partire dal 2012 il Pil è cresciuto con un buon ritmo, e l’anno scorso si è chiuso con un aumento pari al 2,6%, circa un punto percentuale in più rispetto a quanto conseguito nel 2013. L’ultimo trimestre del 2014 ha però registrato una leggera flessione rispetto al ritmo tenuto dall’economia britannica durante i nove mesi precedenti. Secondo le previsioni della Commissione UE il Pil nel 2015 aumenterà allo stesso tasso di crescita del 2014, + 2,6%, mentre il deficit dovrebbe leggermente diminuire a -4%. Il debito pubblico invece continua ad aumentare, verso quota 90% sul Pil, praticamente raddoppiato rispetto agli anni precedenti alla crisi. Negli ultimi mesi del 2014 sono state particolarmente negative le performance nel settore dei servizi e delle costruzioni, dove sono state rilevati i peggiori trimestri da circa due anni. Un indebolimento congiunturale che, se proseguisse nel 2015, potrebbe diminuire ulteriormente le chance di David Cameron di rimanere al numero 10 di Downing Street. Il premier punta gran parte delle sue carte sui buoni numeri dell’economia britannica, per convincere i britannici ad affidargli un secondo mandato. Il ritorno a una crescita stabile e il consistente calo della disoccupazione, tornata al di sotto dei livelli precedenti alla crisi finanziaria, dovrebbero favorire la vittoria di David Cameron. Dalla fine dell’estate i senza lavoro sono scesi sotto i 2 milioni, e sono in diminuzione le persone che ricevono il sussidio di disoccupazione o un’integrazione al reddito attraverso il programma Jobseeker Allowance, poco meno di 900 mila in totale.
EUROPA E IMMIGRAZIONE –
David Cameron ha perso tutte le elezioni intermedie svoltesi durante il suo mandato, e in questo momento il suo partito è leggermente indietro nei sondaggi. Una posizione poco confortevole per il premier britannico, che spera di risalire la china con una campagna elettorale particolarmente aggressiva. Il problema maggiore di David Cameron in questi ultimi anni è stata la politica europea, in particolar modo per quanto concerne l’immigrazione comunitaria. La crisi economica ha rafforzato il già diffuso euroscetticismo che caratterizza l’opinione pubblica britannica, un’ostilità così radicale che ha premiato gli indipendentisti del Regno Unito. Lo Ukip di Nigel Farage, dopo molti anni passati ai margini della politica britannica, sono diventati il primo partito del Regno Unito alle elezioni europee dello scorso maggio, incassando brillanti successi alle amministrative e conquistando per la prima volta due seggi alla Camera dei Comuni. Lo Ukip è entrato nel Parlamento di Westminster grazie al passaggio tra le sue fila di due deputati Tory, mentre nei sondaggi la fuga di elettori conservatori dal partito di Cameron ha portato gli indipendentisti di Farage al ruolo di terza forza. L’ascesa demoscopica si è però interrotta negli ultimi mesi, e per lo Ukip superare il 20% sembra un traguardo piuttosto arduo. Un livello di consensi molto elevato, che però non consentirebbe al partito di Farage di conquistare poco più di una manciata di seggi. Il vero impatto dell’antieuropeismo e della campagne contro gli stranieri dello Ukip è stato finora lo spostamento a destra di David Cameron, che ha abbandonato su questi temi i toni centristi che avevano caratterizzato la sua corsa verso la premiership. Il premier britannico ha promesso di limitare l’immigrazione comunitaria, e continua a ribadire che senza concessioni da parte di Bruxelles sosterrà l’addio del Regno Unito nell’UE. Viste le difficoltà dei Tory con l’elettorato conservatore su questi temi, David Cameron ha però preferito concentrare le priorità programmatiche su argomenti economici. Le sei priorità indicate dal premier per la sua campagna elettorale sono il deficit da diminuire e la pressione fiscale, i posti di lavoro da aumentare e la proprietà della case, mentre servizi sociali fondamentali quali educazione e previdenza vanno salvaguardati. David Cameron ha subito diverse critiche per aver escluso l’immigrazione dal “Manifesto” dei Tory per la campagna elettorale, visto che in questo modo avrebbe evidenziato i suoi timori di affrontare un tema dove sconta forti perplessità da parte del suo elettorato.
SONDAGGI- A tre mesi dal voto i sondaggi rilevano una situazione di grande equilibrio tra i Labour e i Conservatori, praticamente appaiati poco sopra il 30%. Il partito di Ed Miliband è stato in testa alla maggioranza delle intenzioni di voto per quasi tutta la legislatura, prima beneficiando del collasso dei Libdem, e poi della crescente impopolarità del governo di David Cameron. La situazione si è modificata nell’ultimo anno e mezzo, con una ripresa dei Tory che ha praticamente annullato lo svantaggio accumulato fino alle fine del 2012. Il livello di consenso dei due maggiori partiti britannici è particolarmente basso, considerando che la storica terza forza, i Libdem, sono ormai precipitati a livelli residuali di consenso. Labour e Tories sono stati significativamente danneggiati dall’allontanamento di larghe fette di elettorato dai loro tradizionali partiti di riferimento. Molti conservatori insoddisfatti di David Cameron e ostili al suo governo si sono rivolti allo Ukip di Nigel Farage. Il Labour è stato meno penalizzato dallo Ukip rispetto ai Conservatori, anche se una parte del ceto operaio si è sempre più indirizzato verso la lotta all’impopolare Unione Europea condotta da Nigel Farage, ma ha subito perdite di consenso in altre direzioni. Oltre alla già citata esplosione dei nazionalisti scozzesi, che hanno sottratto al Labour la loro roccaforte, gli ultimi mesi sono stati caratterizzati da una forte affermazione, mediatica e demoscopica, dei Verdi britannici. Il partito ecologista è diventato negli ultimi mesi la terza forza britannica per numero degli iscritti, e in diversi sondaggi è riuscito a superare la soglia del 10%. Il successo dei Verdi appare determinato dalla radicalizzazione di una parte dell’elettorato progressista, attratto da proposte quali una forte tassazione patrimoniale sull’1% più ricco della popolazione, un’eco del movimento di Occupy Wall Street, l’introduzione, poi ritrattata, di un reddito universale di cittadinanza da 72 sterline a settimana, circa 400 euro al mese, o l’abolizione della monarchia. La crescita di un sistema multipartitico appare però temperata dal modello Westminster, basato su un premier forte con il potere di sciogliere le Camere e un sistema elettorale maggioritario di collegio. Tra i partiti minori solo i nazionalisti scozzesi sembrano in grado di vincere un numero consistente di seggi, visto che nella quasi totalità delle 646 Constituency in cui è suddiviso il Regno Unito vincerà un candidato laburista oppure uno conservatore.
Il leggero vantaggio dei sondaggi e una migliore distribuzione del voto rende favorito il Labour Party per il controllo della Camera dei Comuni. L’ipotesi più probabile rimane però la ripetizione dell’Hung Parliament, ovvero la mancanza di una maggioranza formata da un solo partito, come già successo nel 2010. Cinque anni fa David Cameron si alleò coi Libdem, mentre ora la coalizione che appare più probabile sembra essere l’alleanza tra Labour e nazionalisti scozzesi.