Forza Italia e l’ombra di un Nazareno romano
28/04/2016 di Alberto Sofia
Il dubbio azzurro rimbalza tra i corridoi parlamentari. Rilanciato dall’asse Salvini-Meloni, gli ex alleati di Berlusconi ora nelle vesti dei “picconatori”. Ma ormai evocato pure in casa Forza Italia, tra i mormorii di un partito che sembra ormai attendere soltanto il 6 giugno, il day after delle Amministrative, per certificare un tracollo annunciato, con la disfatta simbolica del Campidoglio. «Ma non è che il Cav, per salvare le sue aziende, si è convinto di dover tornare al Nazareno e alla pax con Renzi?», è l’incubo ricorrente in casa Fi.
Salvini alimenta le loro paure, evocando presunti ricatti di Palazzo Chigi al leader azzurro: «Il premier ha detto che approverà una legge sui diritti tv nel calcio. Ci sono centinaia di milioni di euro in ballo che riguardano Mediaset ed è evidente che dietro l’uomo politico Berlusconi c’è anche l’uomo d’azienda e il papà…». Parole che non lasciano indifferenti quei parlamentari che da mesi aspettano un rilancio promesso e mai avvenuto per Fi. E che sembrano convincersi che il Cav «non abbia più voglia»: «Il partito-azienda chiama, Berlusconi ora non può che obbedire. Così su Roma ci ritroviamo una riedizione del Nazareno. Per dare una mano al premier che rischia alle Comunali e tenersi aperta una exit strategy dopo il referendum costituzionale…», c’è chi spiega amaro da Montecitorio.
I vertici negano e smentiscono, le truppe parlamentari preferiscono non esporsi in prima persona. Ma a microfoni spenti, nel giorno dell’ultima gaffe di Guido Bertolaso e del nuovo “processo” al candidato prima sfiduciato e poi blindato, in pochi sembrano comprendere le ragioni di quella che viene considerata una «palese desistenza», nella decisiva partita romana. Un assist a Renzi, volente o nolente.
LE GAFFES DI BERTOLASO E L’OMBRA DEL NAZARENO ROMANO
Non sono bastate le parole del Cav a frenare le tensioni interne: «Noi non siamo “la destra”. Per quel che valgono queste categorie, FI è un partito moderato, alternativo alla sinistra e alleato con la destra. Ma la coalizione ha vinto solo quando ha parlato agli italiani con il nostro linguaggio», aveva chiarito il presidente. Ma, in vista delle Comunali della Capitale, lo strappo con Lega e Fdi per gran parte del gruppo azzurro si rivelerà un «suicidio politico». Altro che il “Rudy Giuliani” azzurro, come lo ribattezzò il Cav. Di certo non Mr Wolf, come si era autonominato. Bertolaso, invece che “risolvere problemi” come il personaggio di Pulp Fiction, sembra quasi volersi affossare da solo. Trascinando con sé tutta Fi che lo sostiene. «Farei l’assessore con Raggi o Giachetti sindaco», è stata l’ultima sparata. Rettificata dopo un paio d’ore, tra l’irritazione azzurra e le polemiche in Transatlantico: «Soltanto un’espressione paradossale, non accetterei mai un ruolo politico in una giunta di un altro candidato». Quanto è bastato per riaprire il processo all’ex sottosegretario, già arrivato a un passo dall’essere sacrificato, prima per Meloni, poi per Marchini. E ora attaccato pure per quella volontà di smarcarsi da un partito per il quale, ha precisato, di non essere nemmeno tesserato.
«Finora ha detto che la moglie vota Giachetti, lui voterebbe Marchini e che potrebbe fare l’assessore della Raggi: comunicazione e obiettivi mi sembrano un po’ confusi», è l’affondo di Giovanni Toti al Corsera. Uno che con la Lega e Fratelli d’Italia non avrebbe mai rotto, anche perché mai sarebbe stato eletto governatore in Liguria senza i voti del Carroccio. «Se vuole ritirarsi, lo faccia subito», è il benservito rivolto a Bertolaso, a pochi giorni del termine ultimo (il 5 maggio) per presentare quelle liste che il capogruppo a Roma Bordoni vorrebbe annunciare già venerdì, ma tutt’altro che completate.
I margini per un “cambio di cavallo” in realtà sembrano già scaduti, così come per un accordo in extremis con lo stesso Marchini, tentazione del partito romano e del vicepresidente del Parlamento europeo Antonio Tajani. Anche perché l’intesa risulterebbe indigesta per chi aveva lavorato, al contrario, a una sintesi sul nome di Giorgia Meloni. Per gli “azzurri del Nord” equivarrebbe a dire addio alla “foto di Bologna” e allo slogan del centrodestra unito, imploso nella partita romana. E soprattutto, lo stop a qualsiasi ambizione di rielezione, nella rincorsa di una ricandidatura come capilista sullo sfondo dell’Italicum.
FORZA ITALIA RIBOLLE. E I VECCHI FEDELISSIMI DEL CAV SI RIPOSIZIONANO
Ma Toti non è certo l’unico a impallinare Bertolaso. Perché pure il capogruppo al Senato Paolo Romani (che pure fu tra quelli che criticarono la presenza del Cav sul palco di Bologna accanto a Salvini e Meloni) avrebbe preferito adesso mantenere l’asse con Fdi e Lega. E anche Daniela Santanché non fa mistero che, fosse stato per lei, avrebbe sacrificato volentieri Bertolaso: «A Roma voterei sicuramente Meloni». Altri, come Elio Vito, in prima fila al lancio della campagna elettorale dell’ex ministra al Pincio, schivano le domande: «Non ho nulla da aggiungere…». E c’è chi si affida al sarcasmo, come Luca Squeri: «Perché scegliere tra essere moderato o lepenista? Io mi considero moderato lepenista». Renato Brunetta, invece, in Transatlantico si intrattiene con Fabio Rampelli (Fdi) e l’ex An Andrea Ronchi, uno che già aveva provato a riciclarsi alle iniziative di Fitto. I contatti nel centrodestra proseguono, al di là delle frizioni romane. Anche perché, seppure Berlusconi abbia deciso di confermare Bertolaso, in casa Fi il clima resta quello del «liberi tutti». È l’insurrezione dei vecchi fedelissimi., un tempo sodali del Cav e vassalli del “padre padrone“. E ora pronti a riposizionarsi, ognuno con ricette differenti, sulla via italica per il lepenismo di matrice salviniana.
Ma se i big puntano al day after, c’è tutta un serie di eletti tra Camera e Senato e di amministratori locali che mal sopporta le voci di un ritorno del Nazareno in salsa romana. «Se avesse voluto ricostruire il centrodestra Berlusconi avrebbe fatto altre scelte. A Milano saremo uniti? Certo, ma Parisi fino a poche settimane fa si pensava perdente…», c’è chi azzarda in casa azzurra. I sospetti si sprecano. E non pochi in vista delle Comunali provano a fatica a riciclarsi. C’è chi tenta di “offrirsi” alla leader di Fratelli d’Italia per la partita Capitale, chi attende perché non vuol credere allo scenario della “desistenza” evocata: «Se fosse questa la strada, non potrei che andare via…», spiega un deputato del Nord.
FORZA ITALIA E IL RISCHIO SCISSIONE
Tradotto, è l’ombra di una nuova scissione, dopo quelle di Alfano, Fitto e Verdini nell’ordine, a tornare di moda. «Cosa succederà il 6 giugno? Qui non resterà nulla. In molti prenderanno un’altra strada, i gruppi parlamentari rischiano di essere stravolti…», è una delle ipotesi evocate da una fonte azzurra a Giornalettismo. Per chi condivide la conversione al renzismo c’è già la strada che porta verso l’Ala verdiniana, con il senatore toscano ormai pronto a rendere ufficiale l’appoggio esterno al governo, dopo mesi di convivenza con la maggioranza. Dall’altra c’è quella della ricostruzione a destra, ma sotto l’Opa di Salvini, il leader del Carroccio che tifa per Trump e Hofer. Per Fi, invece, non sembra esserci futuro: «Magari sopravviverà un partito di fedelissimi, con qualche decina di deputati a protezione degli interessi del Cav. Ma senza altre ambizioni», si sfogano in casa azzurra. Anche perché più volte Berlusconi è stato chiaro: vuole rinnovamento, facce nuove. Per gli altri, vale già il motto classico: “si salvi chi può“.