Giulio Regeni: volere la verità ha un prezzo. E chissenefrega, caro Panzeri
29/03/2016 di Boris Sollazzo
Il Pd è quel partito capace, in alcune sue coriacee minoranze, di un autolesionismo creativo e fantasioso. Un carrozzone che ha spesso in sé gli anticorpi del buon senso. Uno di questi si chiama Antonio Panzeri e sono riusciti a mandarlo persino al Parlamento Europeo. A dirla tutta è una dozzina d’anni che è a Strasburgo e scopriamo pure che è relatore ombra per il dossier IMCO (Comitato per il mercato interno e protezione dei consumatori) e, va detto, ha fatto anche un bell’intervento sui diritti umani proprio al Parlamento.
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Sembrava quasi sapesse cosa siano, se non fosse che poi, scrivendo su Libero – sì, il giornale che titolò “Bastardi islamici”, proprio quello, e a lui che presiede la Commissione Parlamentare Mista Ue-Marocco, professando la maggioranza dei cittadini marocchini l’Islam, dovrebbe interessare – ci informa che non dobbiamo dimenticare che “volere la verità su Regeni è giusto ma ha un prezzo: guasta i rapporti col Cairo”. E chissenefrega, caro Panzeri. Giulio Regeni è nostro fratello, figlio, amico. Giulio Regeni potevo essere io, quando a Luxor raccontai le proteste dei giovani contro il regime. E non mi rassicura un paese che ha un eurodeputato che a Strasburgo pretende verità, con un discorsetto di un minuto e mezzo in cui dice la verità sulle pratiche illegali e inumane di torture e sparizioni forzate sotto le Piramidi, e poi a casa sua scrive che va bene tutto, ma non dimentichiamoci la realpolitik.
E lo dice, Panzeri, dimostrandosi informato sul caso Regeni. E infatti dopo aver notato che dei rapinatori si sarebbero sbarazzati dei documenti del ricercatore italiano, che non l’avrebbero torturato e di certo non avrebbero lavato e rivestito il corpo dopo il decesso, prima di morire loro stessi, tutti, ci dice che “sembra ormai chiaro che l’Egitto abbia voluto formire una versione di comodo, piena di palesi contraddizioni, piuttosto che collaborare con l’Italia”.
E, va detto, fa piacere che Panzeri chieda anche le immagini delle telecamere di sorveglianza del quartiere di Giulio, e i tabulati che possano identificare i telefoni vicino a lui, al momento della sparizione e della morte.
Assurdo, però, è il finale della sapida colonnina dell’eurodeputato. “Questa verità non sarà raggiunta facilmente e conoscerla potrebbe avere un prezzo, ivi compreso mettere in sofferenza le relazioni diplomatiche per l’Egitto e l’Italia”.
E, ripetiamo, caro Antonio, non solo non ci interessa delle ragioni di Stato e della diplomazia, ma con un regime così, noi non vogliamo relazioni di alcun tipo. Con chi prende un ragazzo che ha l’unica colpa di essere stato un giovane uomo intelligente, curioso e coraggioso, e lo tortura fino alla morte, noi non dobbiamo avere nulla a che spartire. Con chi pensa di regalarci versioni di comodo ridicole (la prossima sarà che è morto di freddo? Che sono stati Salah ed El Shaarawy?) mancando di rispetto a lui e a noi come paese, non dobbiamo intrattenere alcun rapporto.
Mi dirà, caro Panzeri, che in fondo noi italiani abbiamo fatto di peggio con la strage del Cermis e gli alleati americani, che hanno bellamente ignorato i diritti delle vittime uccise dalla stupidità di un pilota yankee. Che da noi la ragion di stato ha provocato stragi di stato e verità manipolate come a Ustica. Che non dovremmo indignarci e che i rapporti economici e politici con l’Egitto valgono bene il cadavere martoriato di chi ritiene giusto combattere perché le verità vengano conosciute.
Ma ricordare, nel caso di Giulio Regeni, che la verità ha un prezzo, un prezzo politico, è tradirlo e torturarlo di nuovo. La stessa libertà d’espressione che le consente, caro Panzeri, di scrivere su Libero e scrivere questo, è quella che l’Egitto non ha riconosciuto a quel ragazzo.
Combatta, Panzeri, perché l’Egitto ci dia tutti gli elementi di indagine necessarie. E se proprio vogliamo fare della realpolitik, si ricorda che farsi far fessi così da azzeccagarbugli del Cairo (grotteschi i loro tentativi di depistare le indagini, più del cedimento strutturale dell’Itavia a Ustica) non aumenta la nostra reputazione politica e diplomatica nel mondo. A pensarci bene, neanche che un eurodeputato scriva certe cose.