Giulio Tremonti e quel rapporto «maledetto» con Marco Milanese
09/06/2014 di Alberto Sofia
Giulio Tremonti non è indagato nella Tangentopoli Veneta del Mose. Eppure, secondo la versione di Claudia Minutillo, l’ex segretaria di Giancarlo Galan, sarebbe stato l’ex ministro il destinatario di una supertangente da 500 mila euro. Una presunta mazzetta percepita da Marco Milanese, ex deputato Pdl e suo storico consigliere al ministero dell’Economia. Non è bastato all’ex titolare del dicastero di via XX Settembre negare ogni accusa per evitare di finire coinvolto tra i nomi del “livello” romano dietro lo scandalo veneziano. Ancora una volta, così, la fiducia e il potere concessi al suo ex collaboratore rischiano di rivelarsi un errore imperdonabile, come ha ricostruito Ugo Magri sulla Stampa.
MOSE, TREMONTI E QUEL RAPPORTO CON MILANESE – Non bastava lo scandalo della casa di via Campo Marzio, l’appartamento che il suo uomo di fiducia gli aveva dato in affitto, costato a Tremonti l’imputazione per finanziamento illecito. Con la decisione di patteggiare 40mila euro per uscire dall’inchiesta. O le accuse dell’imprenditore Paolo Viscione, finito nei guai con il fisco, che sostenne di aver chiesto aiuto a Milanese in cambio di alcune automobili di lusso (una Ferrari e una Bentley) e quattro orologi. Uno di questi, secondo le accuse, sarebbe dovuto finire nel polso dell’ex ministro dell’Economia. Il rapporto con Milanese rischia adesso di portargli in dote un altro guaio giudiziario. Ben più pesante, considerate le accuse di Minutillo e la mega-mazzetta ipotizzata.
LE ACCUSE DELLA SEGRETARIA DI GALAN – Magri sul quotidiano piemontese ha ricostruito la versione dell’ex segretaria di Galan, un altro dei big politici coinvolti nello scandalo Mose (per l’ex governatore del Veneto l’accusa ha chiesto l’arresto, ndr) e considerato uno “stipendiato a vita” dal Consorzio Venezia Nuova (con un milione di euro all’anno di presunta tangente percepita, tra il 2005 e il 2008, e la ristrutturazione della villa padovana, ndr, ). Secondo la Minutillo, i 500 mila euro percepiti da Milanese, che sarebbero stati consegnati in contanti all’interno di una scatola di scarpe, dovevano finire allo stesso Tremonti:
«Possibile che l’ex ministro non ne sapesse nulla? Come mai quelli del Consorzio Venezia nuova erano così convinti di veicolare i soldi al ministro?», ricorda la Stampa.
I pm proveranno a ricostruire anche l’incontro tra lo stesso Tremonti e Giovanni Mazzacurati. Ovvero, il «padre» 82enne della grande opera «mangiasoldi». Direttore per 22 anni, presidente per altri otto e poi arrestato nel 2013, era lui “il grande burattinaio” di tutte le opere relative al Mose. Aveva “acquistato” controllori e politici a forza di mazzette. Mazzacurati e Tremonti si videro pochi giorni prima che la presunta tangente venisse versata. Adesso saranno i magistrati a cercare di capire cosa sarebbe stato promesso al «capo supremo», così come i suoi sottoposti ribattezzavano Mazzacurati.
LA DIFESA DI TREMONTI – Secondo quanto ricostruito da Mazzacurati negli interrogatori, il ricorso a Milanese, attraverso l’intervento del vicentino Roberto Meneguzzo della «Palladio Finance», era necessario per sbloccare i finanziamenti che il governo doveva concedere per alcune opere alle bocche di porto della laguna. Lo stesso Milanese fece incontrare l’ingegnere con l’ex ministro dell’Economia. Ma non solo: il collaboratore di Tremonti viene considerato anche l’intermediario di alcuni colloqui tra il vertice del Cvn con l’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. Secondo il giudice Alberto Scaramuzza, non c’è nulla di penalmente rilevante per gli incontri di Mazzacurati con il ministro e il sottosegretario. Secondo la stessa versione di Tremonti, quell’incontro fu spinto da altri: «Mi dicevano che era importante. E del resto non si potevano negare i finanziamenti per completare il Mose. Nemmeno Prodi se l’era sentita di bloccarli…», ricorda la Stampa. Nonostante l’ex ministro dell’Economia non risulti tra i nomi inseriti nel registro degli indagati, di certo avrà ripensato a quella fiducia concessa a Milanese, considerato una sorta di “alter ego” ai tempi della sua direzione a via XX Settembre. Uno sbaglio grave, costato non poche macchie e ombre nella carriera politica dell’ex titolare dell’Economia.