Non tutti i nemici di Putin muoiono

03/03/2015 di Mazzetta

Alexei Navalny a processo per frode il 30 dicembre 2014 ((Photo credit DMITRY SEREBRYAKOV/AFP/Getty Images)
Alexei Navalny a processo per frode, il 30 dicembre 2014 (Photo credit DMITRY SEREBRYAKOV/AFP/Getty Images)

NON CI SONO SANTI – Non troppo dissimile la storia di Boris Berezovskij, uno dei primi miliardari russi, padrone di media e società nel settore dell’energia, che era stato accusato dal giornalista Paul Klebnikov (in copertina), di essere un boss della mafia russa in un articolo sulla rivista Forbes e, successivamente, in nel libro Godfather of the Kremlin (Il padrino del Cremlino). Alexander Korzhakov, ex capo del servizio di sicurezza presidenziale, ha a sua volta dichiarato che Berezovskij gli avrebbe parlato della possibilità di uccidere Vladimir Gusinsky, il sindaco di Mosca Yuri Luzhkov e il cantante e deputato Joseph Kobzon. Klebnikov era un giornalista e uno storico americano, chief editor di Forbes a Mosca, non si sono mai trovati responsabili o i mandanti del suo omicidio, molto simile nelle modalità a quello di Nemtsov. Il giornalismo investigativo è pericoloso dalle parti di Mosca.

MORTI NATURALI E NO – Con la storia di Berezovsky si è incrociata quella dell’agente Litvinenko, che una volta saltata la barricata e atterrato in Gran Bretagna ha rivelato di aver avuto l’ordine di uccidere proprio il miliardario russo, ugualmente riparato a Londra. Berezovsky morirà nella sua casa di Titness Park, vicino ad Ascot, nel marzo del 2013, impiccato. La giustizia britannica ha emesso un verdetto aperto sulla sua morte, ma non ci sono mai stati imputati o sospettati e l’uomo aveva una lunga lista di nemici, oltre a una serie di sconfitte delle quali dolersi.

PUTIN FA DI PEGGIO – Sarebbe quindi più ragionevole per i detrattori di Putin schivare l’elezione a martiri del putinismo di certi personaggi e incentrare le proprie critiche su quanto c’è di documentabile a suo carico, che basta e avanza a farne un personaggio detestabile, poco presentabile per via della levatura criminale del suo regime, e per quanto goda di un innegabile consenso in patria, resta un leader che si è macchiato di evidenti massacri di cittadini del suo paese e non solo, e della ricostituzione di uno stato di polizia non troppo dissimile da quello dell’ex URSS. Un paese nel quale s’ammazza fin troppo facilmente e nel quale l’intera classe dirigente è diventata tale dopo aver digerito compromessi imbarazzanti o facendosi largo con la violenza o l’associazione a gruppi criminali, nel quale si fatica a credere che l’imperatore Vladimir abbia bisogno di ricorrere all’omicidio compromettente per liberarsi di qualche concorrente fastidioso.

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