Il modello curdo, un’esperienza esemplare ignorata colpevolmente

06/09/2014 di Mazzetta

 Jalal Talabani
Jalal Talabani

I CURDI IN IRAN – In Iran i curdi non godono d’autonomia e i governi iraniani, senza differenza tra quelli imperiali e quelli khomeinisti che li hanno seguiti, sono tradizionalmente attenti a reprimere ogni afflato separatista, che comunque tra i curdi iraniani non fa breccia. Anche gli iraniani hanno comunque un braccio armato negli uomini del Partito per la Libertà del Kurdistan (Party of Free Life of Kurdistan – PJAK) , una forza che può contare su qualche migliaio di uomini che vivono per lo più oltre i confini iraniani e che è attiva dal 2004. Il partito trae ispirazione dal PKK curdo, chiede maggiore autonomia per il Kurdistan iraniano e, particolarmente invisa agli ayatollah, la fine della teocrazia e l’instaurazione di una repubblica democratica. I curdi sciiti che vivono nel Kurdistan iraniano, una minoranza,  invece sembrano stare bene così come stanno.

DA ASSAD A ROJAVA – In Siria invece si è affermato in maniera indiscussa il Partito dell’Unione Democratica (Democratic Union Party – PYD), che in particolare dallo scoppio della guerra civile in Siria ha preso il controllo delle regioni siriane a maggioranza curda, facendo in modo che ne rimanessero fuori sia le forze di Assad che quelle dell’ISIS. Anche il PYD si può considerare una filiazione del PKK e seguendone la linea ha stabilito una regione autonoma in Siria, oggi conosciuta come Rojava (Rojavayê Kurdistanê, Kurdistan Occidentale), che si regge su un nuovo Contratto Sociale a fare da Costituzione per un’organizzazione del governo federale al quale partecipano tre cantoni, ciascuno dotato di un’organizzazione democratica e di autonomia di governo. Braccio armato del PYD è l’YPG (Unità di Protezione del Popolo o Yekîneyên Parastina Gel), anche se formalmente l’YPG tiene a presentarsi come esercito del Kurdistan siriano e a dirsi agli ordini del Comitato Supremo Kurdo del Kurdistan siriano.

REPRESSIONI E RIVOLTE – L’YPG, rinforzato da uomini del PKK turco e del PJAK iraniano, ma anche aiutato dal governo del Kurdistan iracheno, ha assunto in Siria una postura difensiva ponendosi di fatto come bastione a dividere la regione a maggioranza curda dal resto della Siria, devastata dalla guerra civile. In Siria, dove i curdi rappresentano circa il 10% della popolazione, il regime di Assad ha dimenticato le sue antiche promesse ai curdi e allo scoppio della guerra civile vietava ancora loro l’istruzione in lingua curda, la celebrazione delle festività curde, (come il Newroz, il loro capodanno) e in genere non ci andava leggero con la repressione, in particolare da quando nel 2004 alcune manifestazioni per l’autonomia sfociarono in violenze. In Iran come in Siria, nel 2004 i curdi si sollevarono indubbiamente galvanizzati dalla caduta di Saddam, ma sbagliarono clamorosamente i conti e si scontrarono con avversari decisamente al di sopra delle loro possibilità. Negli ultimi anni invece in Siria si è aperta una finestra d’opportunità che i curdi hanno saputo sfruttare e l’esperienza di Rojava è lì a dimostrare che l’applicazione del modello sposato dal PKK è praticabile, realizzabile e addirittura auspicabile come chiave della soluzione della questione curda, che tanti rompicapo ha procurato anche ai paesi che hanno finito per dividersi le spoglie del Kurdistan che non è mai stato.

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