Il mondo che affonda e come si rimedia

30/04/2014 di Mazzetta

new orleans

VULNERABILITÀ DIVERSE – Le difese costiere peraltro attraggono investimenti e popolazione, con il rischio che qualora cedano la disgrazia s’abbatta su numeri sempre più alti di persone, quando buon senso vorrebbe invece che si costruisse in zone al riparo da pericoli del genere. Uno studio dell’anno scorso ha provato a pesare questi effetti e a individuare dove impatteranno più pesantemente. La classifica per valore economico dei danni mette in fila le aree di: 1) Guangzhou, 2) Miami, 3) New York, 4) New Orleans, 5) Mumbai, 6) Nagoya, 7) Tampa, 8) Boston, 9) Shenzen 10) Osaka. Quella per l’impatto sul Pil del paese invece: 1) Guangzhou; 2) New Orleans; 3) Guayaquil, Ecuador; 4) Ho Chi Minh City; 5) Abidjan; 6) Zhanjing; 7) Mumbai; 8) Khulna, Bangladesh; 9) Palembang, Indonesia; 10) Shenzen. Numeri che spiegano come i danni a New York raggiungano valori assoluti altissimi, ma come per il paese sia molto più rilevante «perdere» sulla costa del Golfo del Messico, di quanto non conti il valore delle proprietà immobiliari minacciate a Boston, New York e Miami, seppur enorme.

LA SFIDA ALLA NATURA, IL VALORE DEGLI UOMINI  – Ma le barriere potrebbero non bastare, a Jakarta hanno già costruito un muro lungo 30 chilometri per tenere lontano il mare, ma sprofonda anche quello insieme al sottosuolo costringendo a una continua rincorsa alla riparazione e al consolidamento, perché se dovesse cedere un milione di persone finirebbe a bagno e si dovrebbe dire addio alla provvista idrica, già minacciata da un’esplosione demografica che ha portato a oltre 10 milioni gli abitanti su un territorio che per il 40% è già al di sotto del livello del mare. In Indonesia hanno speso una frazione di quello che sono costati i danni dell’uragano Sandy, che abbattendosi su proprietà di valore ha staccato un conto economico  di 148 miliardi di dollari, oltre a portarsi via più di 1.800 vittime. Le vite e le proprietà dei cittadini delle metropoli più care costano tantissimo ed è comprensibile, ma fa sempre impressione considerare che i danni dello tsunami che colpì India e Sri Lanka si sono misurati qualche decina di milioni perché le 200.000 vite che ha reclamato valevano economicamente molto meno e lo stesso si può dire per le loro proprietà, non giravano molte assicurazioni sulla vita e contro i danni da quelle parti e l’impatto dello tsunami sull’economia dei due paesi fu quasi trascurabile. .

POTREBBE ANDARE PEGGIO DEL PREVISTO – Ovvio quindi che s’investirà in via prioritaria dove ci saranno dei soldi da spendere per proteggere altri soldi, e basta pensare a quanto può valere economicamente il parco auto di una metropoli, tutte da buttare dopo un’inondazione, per capire che più che del senso economico dell’operazione ci sarà da preoccuparsi di prendere bene le misure ai tempi e al dimensionamento delle infrastrutture, che a fine secolo potrebbero rivelarsi ormai insufficienti a contenere ulteriori aumenti del livello dei mari e degli eventi climatici estremi. Aumenti che secondo gli scienziati sono ormai inevitabili anche se per un qualche accidente miracoloso, smettessimo all’improvviso d’inquinare l’atmosfera oggi stesso.

 

 

 

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