In Sud Sudan il golpe è del presidente

21/02/2014 di Mazzetta

credits: FABIO BUCCIARELLI/AFP/Getty Images
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MASSACRI IGNORATI – Ritornando a Bor il reverendo Thomas Kur ha trovato sei sacerdotesse orrendamente uccise, mutilate e stuprate all’interno della chiesa episcopale di St. Andrews. Questo per dire del livello di efferatezza e anche della «cristianità» dei soldati che in teoria hanno combattuto una guerra di liberazione dei «cristiani» del Sud dalla barbarie dei «musulmani» del Nord, una semplificazione data per buona acriticamente per oltre 20 anni. Malakal, un altro grosso centro da cui giungono notizie allarmanti, la città è divisa tra le due fazioni e ci sono stati feroci combattimenti attorno al compound della UNMISS vicino all’aeroporto, al riparo dei quali si sono rifugiate oltre 27.000 persone ora terrorizzate.

LA PAROLA AI PADRINI – Il brutto è che le due parti ora dovrebbero essere in regime di cessate-il-fuoco pattuito il 23 gennaio scorso e mai veramente rispettato. A segnalare un presa di coscienza importante, gli Stati Uniti hanno intimato a Museveni di ritirare le truppe ugandesi dalla battaglia e subito l’ONU ha ribadito il consiglio, ma non è chiaro se l’intervento americano conseguirà il risultato all’apparenza desiderato e in che tempi, visto che l’Uganda ha risposto che ritirerà le sue truppe quando ne arriveranno altre che permettano il mantenimento della «sicurezza», come se i suoi soldati non fossero uno dei fattori che più la minaccia. Per il contingente panafricano ci vorranno però ancora settimane e ogni giorno può portare massacri e l’idea di un Kiir barricato nella capitale e difeso dagli ugandesi mentre non ha più controllo sull’esercito e la polizia, è uno scenario inquietante, così com’è poco auspicabile che un eventuale intervento internazionale si risolva nel conservarlo al potere a dispetto delle sue evidenti responsabilità e dello sgradimento generale, mai come ora ci sarebbe la necessità che i padrini di Kiir lo abbandonassero al suo destino e lo consegnassero a un comodo esilio, per il bene suo e soprattutto per quello del paese.

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