Jean-Claude Juncker, Federica Mogherini e l’UE che verrà

13/07/2014 di Andrea Mollica

Mercoledì 15 e giovedì 16 luglio l’Unione Europea vivrà due passaggi fondamentali nel processo di rinnovamento apertosi con le elezioni di domenica 25 maggio. Il Parlamento europeo dovrà votare o bocciare la nomina di Jean-Claude Juncker alla presidenza della Commissione, mentre il Consiglio che raccoglie i capi di stato e di governo cercherà di trovare un accordo sugli altri incarichi apicali.

 

Jean-Claude Juncker, AP Photo/Yves Logghe
Jean-Claude Juncker, AP Photo/Yves Logghe

 

JEAN-CLAUDE JUNCKER E IL PARLAMENTO EUROPEO – La nomina di Jean-Claude Juncker alla presidenza della Commissione europea è stata favorita dalla crescente parlamentarizzazione dell’UE. L’elemento decisivo per la scelta dell’ex premier lussemburghese è stato il compatto sostegno del Parlamento europeo al candidato di punta del Ppe, il primo gruppo per seggi all’assemblea di Strasburgo. Mercoledì 15 il sostegno dell’Europarlamento al presidente indicato dai capi di stato e di governo dei paesi membri dell’UE è però meno scontato, anche se piuttosto probabile. La nomina di Jean-Claude Juncker dovrà essere confermata a maggioranza assoluta, ovvero con il sì di almeno 376 dei 751 parlamentari europei. I numeri a disposizione dell’esponente sono tranquillizzanti solo se la maggioranza che si è creata a suo sostegno sarà confermata. A favore di Juncker ci sono sicuramenti i popolari, così come socialisti e liberali forniranno il loro appoggio, mentre i verdi hanno una posizione più sfumata, anche se se tendenzialmente favorevole. Il Ppe e il Pse contano all’incirca sul 55% dei seggi del Parlamento europeo, quindi significa che ci sono solo 36 seggi in più rispetto alla maggioranza assoluta richiesta dall’articolo 17 del Trattato sull’Unione Europea. All’interno dei gruppi maggioritari dell’Europarlamento ci potrebbero però essere diversi no, dipendenti in larga parte dal difficoltoso processo di nomina di Jean-Claude Juncker. L’ex premier lussemburghese è stato il primo presidente della Commissione nominato a maggioranza, visto che Gran Bretagna e Ungheria hanno votato al Consiglio europeo di fine giugno. I deputati di Fidesz, il partito del premier Victor Orban iscritto al Ppe, potrebbe votare contro Juncker. Una scelta simile potrebbe essere fatta anche dai laburisti britannici, data l’impopolarità in patria del presidente nominato dai governi nonostante la battaglia di David Cameron.

 

 

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE E IL PARLAMENTO EUROPEO – I possibili no di Fidesz e Labour Party farebbero traballar pericolosamente i numeri di Jean-Claude Juncker, la cui maggioranza dipende dal probabile sì che gli verrà assicurato dal gruppo dei liberali e democratici, formato da 59 europarlamentari. Il nuovo presidente della Commissione potrebbe contare su un esteso supporto anche tra i parlamentari ecologisti. Alde e Verdi sono due formazioni sono particolarmente europeiste, e il loro sostegno dipende dall’affermazione del “principio parlamentare” alla base della nomina di Jean-Claude Juncker. Il Trattato di Lisbona, erede della fallita Costituzione per l’Europa, ha rafforzato il ruolo dell’assemblea legislativa UE nel processo di formazione dell’organismo del governo comunitario. Il candidato deve essere nominato dal Consiglio europeo in base ai risultati delle elezioni, e a maggioranza assoluta il Parlamento europeo può imporre ai capi di stato e di governo di indicare un’altra personalità, bocciandone la loro prima scelta. Le prospettive di una sconfitta di Jean-Claude Juncker appaiono improbabili, anche se la costruzione della sua maggioranza, come sempre capita negli affari europei, è ancora un processo in divenire. Il gruppo liberale dell’Alde ha rimarcato come sosterrà il nuovo presidente della Commissione, a condizione di ricevere una significativa rappresentanza all’interno dell’organismo. Una posizione non dissimile da quella dei socialisti, il gruppo politico che più sta cercando di modificare gli attuali rapporti di forza europei. La scorsa legislatura è stata caratterizzata dalla debolezza della sinistra riformista, seconda forza ma distante dai numeri del Ppe all’interno di Parlamento, Consiglio e Commissione. In questi anni i governi socialisti sono diventati più numerosi, così come è aumentato il peso del Pse all’assemblea di Strasburgo, con contemporanea flessione dei liberali.

 

Enda Kenny con Angela Merkel, AP Photo/dpa, Soeren Stache
Enda Kenny con Angela Merkel, AP Photo/dpa, Soeren Stache

 

IL CONSIGLIO EUROPEO E LA NUOVA COMMISSIONE – Il capogruppo del Partito socialista europeo, Gianni Pittella del PD, ha rimarcato come il sostegno del suo gruppo a Juncker dipenderà da diversi fattori, in primis l’interpretazione del “miglior uso” della flessibilità, la formula con cui gli stati europei hanno sancito la loro diversa visione dei vincoli del Patto di stabilità. Una parziale risposta ai dubbi socialisti è arrivata dalla promessa dell’ex premier lussemburghese di nominare un esponente del Pse come commissario agli Affari economici e monetari. Una presa di posizione che però assomiglia più ad una mossa tattica, visto che per quell’incarico ci sarebbe già la prelazione dell’ex premier della Finlandia Jyrki Kaitanen, che ha lasciato la guida del governo proprio per un importante incarico europeo, ed è appoggiato da Angela Merkel. Giovane e rispettato, Kaitanen sarebbe stato un possibile presidente della Commissione se il percorso non si fosse parlamentarizzato su impulso dei partiti politici europei, che hanno dato un’interpretazione estensiva del Trattato di Lisbona. La flessibilità e le nuove nomine successive all’approvazione, eventuale, di Jean-Claude Juncker saranno all’ordine del giorno nel Consiglio europeo straordinario del 16 luglio. In questo consesso si dovrebbe procedere alla nomina dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, il vice presidente della Commissione responsabile delle relazioni internazionali dell’UE. Per questo incarico una delle favorite è Federica Mogherini, la titolare della Farnesina nel governo Renzi e candidata appoggiata dai governi socialisti. La corsa della Mogherini è rafforzata anche dalla volontà di Jean-Claude Juncker di valorizzare la presenza femminile nel nuovo organismo di governo dell’UE.

 

Luis de Guindos con Padoan, AP Photo/Yves Logghe
Luis de Guindos con Padoan, AP Photo/Yves Logghe

 

LA NUOVA COMMISSIONE E I CONTI PUBBLICI – L’intesa sul futuro responsabile della politica estera europea dipenderà dalla capacità di raggiungere un accordo complessivo sulle nomine. All’ordine del giorno del Consiglio Europeo di mercoledì 16 luglio c’è l’indicazione del nuovo presidente di questo organismo, visto che il 1°dicembre del 2014 scadrà il secondo mandato di Herman Van Rompuy. Appare difficile che il Pse possa ottenere sia la presidenza del Consiglio europeo che l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, a meno di una rinuncia ai più importanti incarichi economici. In lizza per la guida dell’organismo che riunisce i capi di stato e di governi dei 28 paesi membri c’è la socialista Helle Thorning-Schmidt, premier danese che però sconta il fatto che il suo paese non faccia parte dell’eurozona. Se invece l’incarico andasse ad un esponente di centrodestra un candidato che potrebbe raccogliere ampi consensi sarebbe il primo ministro irlandese Enda Kenny. I maggiori rivali di Federica Mogherini sono invece due politici dell’Europa dell’Est, area che dovrà essere rappresenta nei prossimi incarichi di prestigio dell’UE. Il più autorevole sfidante dell’esponente del PD appare Radoslaw Sikorski, il ministro degli Esteri polacco ed esponente del Ppe. Kristalina Georgieva, attuale componente della Commissione, è un’altra figura piuttosto apprezzata, anche se potrebbe pagare la situazione politica piuttosto caotica della Bulgaria, che andrà a elezioni anticipate dopo un solo anno di legislatura. Il nodo per risolvere queste nomine sarà risolto grazie all’accordo tra Ppe e Pse, ed un particolare peso avranno gli accordi futuri sui ruoli economici in Commissione. Il futuro coordinatore dell’Eurogruppo dovrebbe essere il popolare spagnolo Luis de Guindos, ministro dell’Economia del governo Rajoy particolarmente apprezzato da Angela Merkel. La Francia reclama una poltrona di peso, da affidare a Pierre Moscovici, ex ministro dell’Economia escluso dal governo dopo l’arrivo di Manuel Valls a Hôtel Matignon.

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