La lezione della Exxon-Valdez

25/03/2014 di Mazzetta

Three tugboats (R)  push the oil tanker Exxon San

LA VITA È CAMBIATA – Secondo uno studio della NOAA del 2007 sarebbero ancora novantottomila i litri che inquinano l’area con la loro presenza, una goccia rispetto ai 40 milioni di litri che sono stati sversati a causa dell’incidente, ma sufficienti per inquinare ancora oggi quei 2.000 chilometri di coste dell’Alaska ufficialmente toccate dal petrolio. Anche perché non si deve pensare che quei 40 milioni di litri siano stati recuperati, solo il 10% del petrolio fuoriuscito è stato raccolto, il resto è stato disperso dall’azione delle correnti o dei solventi chimici, inquinanti pure loro, o si è depositato sul fondo. Anche per questo da allora le comunità di pescatori della zona non hanno mai più pescato, se mai servisse una conferma più tangibile della persistenza dell’inquinamento. L’industria ittica locale è stata azzerata e ormai chi ha una barca la usa solo per portare in giro i plotoni di scienziati e di ufficiali del governo che ancora oggi monitorano le conseguenze dell’incidente, anche la vita sociale che un tempo faceva perno sulle comunità dei pescatori è cambiata profondamente e probabilmente ci vorranno ancora decenni prima che da quelle parti possa tornare a rifiorire questa attività. Un’altra serie di danni che s’aggiungono a quelli diretti, perché una catastrofe del genere è destinata ad avere effetti severi e duraturi ovunque si verifichi ed è facile pensare che alle poche migliaia di residenti interessati dall’incidente a latitudine remote che ne sono invece milioni che s’affacciano sul golfo del Messico e che nei prossimi anni dovranno subire lo stesso destino a causa dell’incidente della Deepwater Horizon, dove le stime più prudenti parlano di una quantità di petrolio finita in mare che è dieci volte quello perduto dalla Exxon Valdez.

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