La vergogna dei soldati americani stuprati
04/04/2011 di Tommaso Caldarelli
E’ un caso più frequente di quanto si possa pensare. E le vittime non hanno spesso alcuna intenzione di denunciare ciò che accade.
Violenze sulle donne: un fatto terribile, di cui però si ha notizia. E l’opinione pubblica spesso rimane assuefatta dalle vicende, tanto da non dargli l’importanza che meriterebbero; oppure , in ogni caso, le considera normali fatti di cronaca. Non così la violenza sessuale su uomini, specie se perpetrata da altri uomini. E c’è un ambiente da cui le notizie trapelano già difficilmente, figurarsi quando si tratta di notizie del genere: quello militare. L’esercito americano, con le sue mostrine e i suoi onori, sta però oggi venendo investito da un’ondata di verità: gli episodi di stupri fra commilitoni iniziano ad emergere in tutta la loro potenza. E la vergogna di chi ha subito una violenza da parte di un fratello in divisa è dura da sopportare.
MINORANZE VIOLENTATE – Soprattutto perchè, come spesso accade, i ranghi dell’esercito americano sono composti da poveri, emarginati, appartenenti a minoranze etniche, giovani in cerca di riscatto e provenienti da contesti difficili; soggetti che sono spesso i primi a subire il bullismo dei commilitoni. Newsweek ha un ampio servizio che racconta queste storie, ripreso dal Daily Beast.
Greg Jeloudov aveva 35 anni e non sapeva molto dell’America quando ha deciso di arruolarsi. Come molti soldati, era spinto dal patriottismo per la sua terra adottiva e dall’idea pragmatica che la carriera militare sarebbe stato il primo passo per avere un lavoro che gli permettesse di farsi una famiglia. Invece Jeloudov arrivò a Fort Benning, Georgia, per un addestramento di base nel maggio del 2009, nel bel mezzo di una crisi economica e di una crescente xenofobia. I soldati nella sua unità, quando sentirono il suo accento russo e il suo indirizzo di New York, lo chiamarono “socialista champagne” e “frocetto comunista”. Era “nel mezzo della tana delle vipere”, ha raccontato. Solo due settimane dopo fu stuprato in gruppo nelle caserme dai suoi commilitoni, che gli dicevano che avevano intenzione di mostrargli chi comandasse davvero negli Stati Uniti.
Insomma, non molto è cambiato dai tempi di Full Metal Jacket, il film di Stanley Kubrick in cui il soldato più lento viene picchiato selvaggiamente dai suoi commilitoni, prima di ammazzarsi.
UN FENOMENO DILAGANTE – In realtà, come si capisce, la violenza sessuale di gruppo è qualcosa di peggiore di un già molto doloroso massacro. Secondo Newsweek, come dicevamo, il fenomeno dilaga nell’esercito americano, coperto dall’omertà degli stessi soldati che si vergognano a parlarne in pubblico. La loro situazione avrebbe probabilmente meritato più attenzione in passato.
Nella cultura tradizionale militare, è un segreto oscuro, tenuto nascosto da barriere di vergogna personale e diniego ufficiale. L’anno scorso almeno 50mila veterani sono stati trovati positivi per “traumi sessuali militari” al Minstero per gli affari dei Veterani, in salita rispetto ai 30mila del 2003. Per le vittime, l’esperienza è un particolare tipo di inferno – perchè un soldato non può semplicemente cambiare lavoro per scappare da chi ne abusa.
Quando il tuo lavoro è una vocazione, scappare per evitare che qualcuno ti faccia del male sembra una fuga. E nessuno vuole, anche se ha bisogno d’aiuto: bisognerebbe che qualcuno, dall’interno, gli desse una mano.
SOLUZIONI? – Il Pentagono, Dipartimento di Stato Americano, sta seriamente dunque pensando di prendere più di petto la vicenda. O comunque di affrontarla in maniera ben più incisiva di quanto non si sia fatto finora: e sono in molti, da quando il ministero americano ha iniziato ad attrezzarsi con un unità ad hoc per affrontare i problemi dei soldati che vengono stuprati, ad alzarsi in piedi per raccontare la propria storia.
Gli uomini si stanno facendo avanti in numero senza precedenti, raccontando le loro storie e sperando che raccontandole possano trovare aiuto per sé e per altri, in modo da rimettere le loro vite insieme. “Non ci piace pensare che i nostri ragazzi debbano essere vittime”, dice Kathleen Chard, capo dell’unità stress-postraumatica al Cincinnati. “Non vogliamo pensare che possa succedere anche a noi. Se un uomo mi sta davanti, ed è della stessa mia stazza, con le stesse mie abilità, ed è stato stuprato – che cosa significa questo per me? Posso essere stuprato anch’io, a questo punto”.
Già, insomma. Se persino fra i militari, che dovrebbero difendersi a vicenda prima di difendere il paese, capitano queste cose, figurarsi cosa può accadere fra i civili.
LUOGO COMUNE – Anche se, in effetti – come detto – le violenze sessuali nelle caserme sono sempre state un po’ un segreto di Pulcinella, come quelle nelle carceri. Questo non vuol dire, ovviamente, che non ci sia un problema da risolvere. E come abbiamo detto, il ministero della difesa americano si sta attrezzando per affrontare la situazione. Anche perchè questa sarà l’occasione per sfatare un altro luogo comune sui militari, quello della dilagante omosessualità nelle caserme che causerebbe tutto questo. Non c’entra nulla l’orientamento sessuale: è pura violenza carnale quella che succede nelle caserme.
Mentre molti pensano che i violentatori siano soldati gay in incognito, gli esperti militari affermano, insieme a ricercatori indipendenti, dicono che chi fa cose del genere di solito è eterosessuale. Come nelle prigioni e in altri ambienti mono-maschili, gli assalti uomo su uomo nell’esercito sono motivati non dall’omosessualità, ma dal potere, dall’intimidazione e dal dominio. Le vittime delle violenze, sia maschi che femmine, sono tipicamente giovani e di basso grado; sono bersagliati per la loro vulnerabilità. (…) “Una delle ragioni per cui le persone commettono violenze sessuali è per rimettere la gente al loro posto, per cacciarle”, dice Mic Hunter, autore di “Onore Tradito: Abusi sessuali nell’esercito Usa”. “La violenza sessuale non c’entra niente col sesso, è solo una questione di violenza.”
Benvenuto dunque l’impegno del governo americano. Anche se sarà difficile arginare una pratica che in effetti è molto risalente e radicata, tanto da diventare un luogo comune.