L’Africa sub-sahariana non ce la fa

16/01/2014 di Mazzetta

#thingsiloveaboutsouthsudan 1

A BANGUI SI CAMBIA – Ora Djotodia si è dimesso e ha abbandonato il paese chiedendo asilo al Benin, si dice che la sua presenza complicasse le cose e una riconciliazione che ancora non si vede all’orizzonte, ma ora bisognerebbe trovare qualcuno che possa rassicurare cristiani e musulmani e mettersi al lavoro a razzo per rimettere in piedi un paese con appena quattro milioni di abitanti che ormai ne ha almeno uno che si divide tra profughi in patria e fuggiti appena oltre i confini in tutte le direzioni. Il nuovo presidente «di transizione» dovrebbe allo stesso tempo essere forte politicamente e abbastanza stimato da andare bene più o meno a tutti e per di più dovrebbe essere poco ambizioso, perché l’impegno prelude al divieto di candidature future e la sfida prevede il prendersi carico di un paese fallito, nel quale la macchina dello stato ormai non esiste più e l’economia è piantata da mesi.

A JUBA SI SPARA – Non va meglio in Sud Sudan, lo stato più giovane d’Africa fortemente voluto da Londra e Washington, che ora però appaiono in imbarazzo e incapaci di tirare fuori dal cilindro una soluzione acconcia. Qui il governo è imploso sull’onda degli scarsi risultati ottenuti finora, avendo brillato solo per corruzione e repressione del dissenso. Alla fine il partito quasi unico di governo che ha rappresentato il movimento di liberazione nazionale del Sudan e ottenuto l’indipendenza si è spaccato e il presidente Salva Kiir sembra impegnato a reprimere il dissenso con l’esercito dopo aver millantato un golpe contro il governo legittimo. Mentre Kiir dà la caccia al suo ex vicepresidente, la comunità internazionale fatica a soccorrere la popolazione, che dipende ancora quasi integralmente dagli aiuti internazionali.

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