L’agnello a Pasqua? Perché no
01/04/2015 di Boris Sollazzo
Lo dico subito, sono un carnivoro, e mangio con piacere qualsiasi tipo di carne. E, lo dico senza senso di colpa, quei quadrupedi che finiscono nel mio stomaco mi sono anche simpatici. Avevo una nonna che piangeva ogni qualvolta doveva sgozzare il maiale che aveva cresciuto con amore. I vitellini mi fanno tenerezza, ho lavorato in Israele in un kibbutz in cui alle mucche pulivo con amore la stalla dal loro letame piuttosto invadente, sono un patito del pesce e i cavalli li trovo eleganti e regali. Anche il cinghiale ha tutta la mia ammirazione, nonostante una volta investì la mia auto. Lui rimase in piedi, fiero, io dovetti comprarne un’altra a rate. Ma voglio bene anche a lui.
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Non so se mangerò carne a Pasqua. Probabilmente a Pasquetta sì, ma nella domenica che santifica la resurrezione di un noto personaggio storico in cui peraltro non credo (ma lo stimo, per la capacità stoica che ha avuto di contrastare il Potere e il pensiero dominante), penso non accadrà.
E non capisco, davvero, questa battaglia agnello sì, agnello no. Vegetariani contro carnivori. Sarò sincero, mi sembra una guerra insensata, come quella sull’aborto, sulle adozioni gay, sull’omosessualità. Il bello del mondo che ci siamo costruiti, piuttosto male, è la libertà. Certo, può fare male se non sai come domarla, direbbe Francesco Guccini. E allora dopo la strage a Parigi eravamo tutti Charlie, salvo poi provare fastidio per un Papa che vuole picchiare chi gli offende la mamma.
Non mangerò l’agnello, perché la mia scelta non ha bisogno di essere sostenuta da un simbolo. Da una tradizione che vuole la macellazione massiva di animali in un particolare periodo dell’anno non per soddisfare la fame o una dieta efficace da diverse migliaia di anni, ma perché così si fa. Allo stesso modo non compro le mimose l’8 marzo: trovo che anche le piante siano esseri viventi, anche se al posto del sangue hanno la clorofilla. E mi innervosisce vederle a terra, la sera della Festa delle Donne, recise e morenti, solo per un capriccio di marketing sociale.
Non mi fa piacere che un altro essere vivente venga ucciso inutilmente e ancor meno che del suo sacrificio non si abbia rispetto. Che diventi un feticcio da spiluccare e magari da sprecare.
E neanche che lui, costretto dal darwinismo a divenire una nostra preda – non avremo canini sviluppati né intestini da predatori, ma ci siamo evoluti per crescerli, allevarli e cacciarli ahinoi – diventi il pretesto per una violenta battaglia ideologica. Quella dei carnivori, che appena si trovano un vegetariano vicino lo sfottono più o meno bonariamente. E quella dei vegetariani.
Sì, amici miei vegetariani. Anche gli agnelli vi direbbero che avete un po’ rotto le scatole con la vostro controstoria, con la voglia che avete di attaccare uno stile di vita piuttosto collaudato, senza alcun rispetto. Noi non vi portiamo di fronte ai campi in cui tante piante soffrirebbero in modo infame se tutti diventassimo vegetariani, strappate dalla terra in cui si sentono accolte e in cui stanno tanto comode. Non vi chiediamo di mangiare frutta quasi marcia perché dovreste aspettare che cada, per non far soffrire quei rami quando qualcuno strappa una mela da loro. Non vi diciamo che le uova sono esseri viventi potenziali. Pure se sono tante buone. Sapete perché? Perché non ci interessano le vostre scelte, ci basta che siate felici.
(ALBERTO PIZZOLI/AFP/Getty Images)