L’avventura segreta della Glomar Explorer

01/03/2014 di Mazzetta

L’HALIBUT – La missione è affidata all’USS Halibut, in origine un sottomarino lanciamissili abbastanza rozzo, con un originale e complesso sistema di lancio, che però era stato più volte modificato per essere dedicato all’esplorazione dei fondali, dotato di un drone telecomandato che poteva scendere a grandi profondità e che poteva essere imbarcato grazie alla grande apertura per il lancio dei missili. Aveva fallito nella ricerca di una testata nucleare persa in mare dagli americani, non fallirà con il relitto russo, decisamente più grande e facile da rilevare. Le ricerche si concludono con successo nonostante l’area da esplorare non sia poi così ristretta, perché nell’affondare per 5 chilometri il relitto potrebbe essere stato preso da una corrente ed essere atterrato anche a distanza considerevole dalla verticale dell’incidente. Da lì in poi scatta il vero e proprio piano per il recupero dello scafo, un’impresa titanica da completare per di più in segreto a oltre 1500 dalle Hawaii in pieno Oceano Pacifico.

LA GLOBAL EXPLORER – A tentare l’impresa sarà la Hughes Global Explorer, una nave da cinquantamila tonnellate, lunga 189 metri, con il fondo che si può aprire e calare un telaio al quale sono fissati dei grandi bracci meccanici che dovrebbero afferrare e sollevare il K-129 senza che dall’esterno sia possibile capire che è in corso un recupero navale. Tutta l’operazione è gestita dalla CIA, il miliardario Howard Hughes s’impegna a coprire la costruzione della nave e dichiara che si tratta di un vascello con il quale la società che ha costituito insieme ai big americani dell’energia e dell’industria intende raccogliere i pregiati noduli di manganese dal fondo degli oceani. Gli credono al punto che si discuterà parecchio dell’impresa e anche altri la prenderanno seriamente in considerazione. La vulcanica e imprevedibile personalità del miliardario americano assecondata dall’avallo delle maggiori industrie del paese, fanno in modo che non desti eccessivo stupore l’incredibile cifra spesa per armare la nave e nemmeno che per la sua costruzione occorrano appena 2 anni.

IL RECUPERO – La Hughes Global Explorer muove dai cantieri nel settembre del 1974, entro l’anno sarà sulla verticale del relitto e comincerà il recupero, studiato nei minimi particolari grazie a 20.000 immagini scattate nel frattempo dall’Halibut e altre ancora dal batiscafo Trieste II, immagini che permettono di capire anche le ragioni dell’affondamento. Il K-129 ha un vistoso buco nella zona delle batterie, segno inconfondibile dell’esplosione di un accumulo e conseguente esplosione dell’idrogeno prodotto dalle batterie dell’unità. L’aggancio di rivela però problematico, la risalita dura giorni procedendo a meno di due metri al minuto, un tempo eterno durante il quale l’equipaggio della Global Explorer contempla seriamente il rischio del ribaltamento o comunque dell’affondamento mentre le poderose gru di bordo recuperano i cinque chilometri di cavi d’acciaio e tutto quello che c’è appeso. Quando il relitto si trova a a 1500 metri dal fondo e ancora a più del doppio dalla superficie tre dei 5 bracci cedono. Si erano danneggiati durante la fase di cattura, che è bene ricordare che non era mai stata tentata prima e che doveva fare i conti con la pressione esercitata da una colonna di cinque chilometri d’acqua. Il cedimento dei bracci priva di sostegno parte del sommergibile, che si spezza come d’altronde ipotizzato e previsto in uno scenario del genere, sulla Global Explorer arriva un terzo del relitto, gli altri due terzi si sono prevedibilmente disintegrati e sparsi sul fondo.

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