Le promesse mancate di Rafael Correa ai nativi dell’Ecuador

06/02/2014 di Mazzetta

CONAIE 2

ADDIO AL SOGNO DELL’AUTONOMIA – La plurinazionalità è stata invece messa da parte, non si è vista nell’accesso all’amministrazione, non è stata inclusa nel modello economico e in quello ambientale o in quello della gestione delle risorse naturale, si attendeva una decolonizzazione che non c’è stata e ora per i nativi è quasi tutto come prima. Così quelli del CONAIE sono finiti nella lista dei cattivi, esclusi persino dal vertice dell’ALBA tenutosi nello stesso Ecuador, che aveva nei diritti dei nativi uno dei punti principali dell’agenda e si è arrivati al 10 gennaio scorso, quando il Segretario degli Idrocarburi Andrés Donoso Fabara ha denunciato otto leader indigeni:  Humberto Cholango and Bartolo Ushigua, presidente e vice-presidente del CONAIE (Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador); Franco Viteri, presidente of GONOAE (Governo delle Prime Nazioni dell’Amazzonia Ecuadoregna) Patricia Gualinga leader del Sarayaku e ancora Cléver Ruiz, Gloria Ushigua, Jaime Vargas e Patricio Sake. Tutti accusati di aver proferito «minacce» durante l’undicesimo round delle aste petrolifere, chiedendone la carcerazione.

TROPPA REPRESSIONE – E non sono i primi, oltre 200 leader indigeni hanno sul capo procedimenti giudiziari attivati dal governo di Correa negli ultimi anni. Una pratica che la Commissione Interamericana dei Diritti Umani ha dichiarato violare i loro diritti, imponendo l’adozione di misure a loro protezione. Una conclusione che Correa ha ignorato. Lo stesso ministro ha spiegato durante un suo viaggi in Cina che: «Siamo autorizzati dalla legge, se vogliamo, ad andare con la forza e fare certe attività anche se sono contro di loro, ma non è la nostra politica».

UN’ALTRA DECOLONIZZAZIONE MANCATA – Un convincimento sbagliato e non è nemmeno vero che il ricorso alla forza sia così escluso come scelta politica, il concerto tra potere esecutivo, legislativo e giudiziario in questo caso è evidente e opprimente, ancora una volta gli indigeni sono esclusi dal piano decisionale e i tribunali delle città dei bianchi impongono lo loro legge senza che ai nativi resti da fare molto altro che protestare a vuoto di fronte all’avanzare di una politica che è stata ribattezzata «estrattivista» e che ha individuato quello da estrarre proprio nelle zone dell’Amazzonia abitate dai nativi e albergo degli ecosistemi più fragili e preziosi. Come previsto anche dai suoi mentori, Correa si è rivelato molto meno eccentrico di quanto non lo abbiano dipinto, ma ormai si può dire anche che la sua idea di socialismo è falsa non meno di quanto non sia il suo formale impegno al rispetto dei diritti dei nativi che lui stesso ha voluto inserire nella costituzione, forse perché allora sostenere quella parte era funzionale alla sua ascesa al potere. Di sicuro per Correa i nativi non hanno diritto ad avere voce in capitolo quando s’arriva allo sfruttamento delle risorse naturali nei loro territori e devono anzi ringraziare che il governo pensa allo sviluppo e che parte dei soldi che incasserà saranno investiti per migliorare le loro condizioni di vita. Uno schema già visto, che tutti i colonizzati hanno mandato a memoria e che quelli del CONAIE per qualche tempo si sono illusi che fosse giunto al tramonto, sbagliandosi.

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