L’olocausto del Ruanda, che fu solo l’inizio

10/03/2014 di Mazzetta

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I GENOCIDI DOPO IL GENOCIDIO – Quello che troppo spesso viene messo in ombra dalla gigantesca brutalità di un massacro che ha visto tante persone comuni farsi boia e cacciatori dei propri vicini è quanto successo in seguito,  a cominciare già dal 1996 quando le truppe dello RPF attaccano i campi delle forze «genocidarie» in Congo, fuggite a loro volta dopo il trionfo di Kagame, costringendo molti profughi a rientrare, ma non riuscendo a spazzare quanti dal Congo continuavano ad attaccare in Ruanda. Da lì Kagame e Museveni proseguono spingendo fino a Kinsasha Laurent Desiré Kabila, risolvendo così con la forza delle armi il vuoto di potere che si era venuto a creare dopo la morte di Mobutu Sese Seko, piazzato al suo posto da belgi e americani, che prima hanno assassinato il primo presidente del Congo, Patrice Lumumba e poi si sono voltati dall’altra parte non facendo caso a trent’anni di follie del dittatore e padrone per grazia ricevuta del Congo.

LA GUERRA MONDIALE – Nel 1998 Kabila dice grazie e invita ruandesi e ugandesi a tornare da dove sono venuti ed è di nuovo guerra, il presidente congolese viene assassinato e dopo tre giorni va al potere suo figlio, che è ancora lì. Sarà chiamata la Prima Guerra Mondiale Africana, perché alla fine vi parteciperanno in diversi tempi gli eserciti di otto paesi africani. Conterà cinque milioni di vittime, per lo più civili. La pace e la fine delle ostilità arriveranno solo nel 2003, ma con poca soddisfazione, perché da allora la zona del Congo Nord-orientale resta dimora di diverse milizie e sottratta al controllo del governo centrale, dal quale la separano centinaia di chilometri senza strade.

 E ANCORA – Nel 2009 scoppia la ribellione di Laurent Nkunda, che in questi giorni è stato riconosciuto colpevole di crimini contro l’umanità del tribunale Penale Internazionale, che fonda il National Congress for the Defence of the People (CNDP) e si pone a capo di una milizia Tutsi che inizialmente si credeva supportata da Kagame contro il gruppo Hutu delle Democratic Forces for the Liberation of Rwanda (FDLR). Nello stesso anni in seguito a un accordo tra i due paesi i ruandesi hanno il via libera per entrare in Congo e dare la caccia i militanti dello FDLR e, in cambio, arrestare Nkunda e porre fine alle ribellione. L’ultima ribellione è stata quella del M23, stroncata qualche settimana fa dopo che per mesi il gruppo, integrato nell’esercito e poi abbandonato senza paga per mesi, ha ridicolizzato le forze congolesi. Che poi sono state rimpolpate e ora vorrebbero addirittura ripulire dal regione dagli otto-dieci movimenti armati che ancora vi trovano albergo.

IL  TESORO IN PALIO – La regione è ricca di minerali pregiati e l’instabilità dell’area ha fatto in modo che l’attività mineraria sia esplosa a livello artigianale o poco più e che tutta la produzione viaggi verso Uganda e Ruanda, andando ad arricchire quei paesi e nel mezzo quei signori della guerra che controllano miniere e transiti, senza dimenticare gli ufficiali congolesi che non vedono e che non agiscono, anche perché la questione attira l’attenzione di Kabila solo quando spicca qualche banda che potrebbe diventare una minaccia al potere centrale. Una situazione che va bene anche a Ruanda e Uganda, che è diventata il maggior esportatore africano d’oro senza averne quasi, tutto contrabbando dal Congo, così come tutti i minerali che provengono dal Kivu, ben pochi dei quali pagano le royalty a Kinshasa. L’instabilità della regione appare ormai cronica, figlia dell’impossibilità da parte del governo congolese di controllare l’area, della scarsa utilità del contingente ONU più numeroso al mondo, presente nel paese fin dagli anni ’60, ma soprattutto dagli appetiti e dall’atteggiamento del dinamico duo Museveni-Kagame, che nel frattempo è entrato nelle grazie dell’Occidente e persino della stampa internazionale, mai parca di lodi per due dittatori di lungo corso che hanno sulla coscienza qualche milione di morti.

 

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