L’ombra della mafia cinese su Roma
17/01/2012 di Dario Ferri
La dinamica della morte del killer di Torpignattara riporta al centro dell’attenzione il ruolo della criminalità organizzata
Non è possibile. Per una volta, non lo è fisicamente: non ci si arriva, ad impiccarsi così in alto. Pende da quattro metri, appeso ad un gancio utilizzato per dissanguare gli animali che ci si appendono, il corpo senza vita di Mohamed, il marocchino, uno dei due killer dei due cinesi di Tor Pignattara, Zhou Zheng e la sua figlioletta di nove mesi, freddati nel bar che la famiglia gestiva a via della Marranella, grande traversa di via Casilina a Roma, appena passato il Pigneto. Suicidio, il primo pensiero degli inquirenti che hanno trovato il suo corpo morto in un casolare dall’altra parte della città, oltre il Raccordo Anulare, in zona Casalotti. Una casa rurale, in un campo che era un’azienda agricola, prima che la gente iniziasse a spararsi nelle sue vicinanze.
IL SUICIDIO CHE NON LO ERA – No, niente omicidi: soft air, quel gioco con le pistole ad aria compressa che è un po’ un gioco di guerra per tutti. Sono stati proprio i giocatori di una partita di soft air ad allertare gli inquirenti: in quel casale, qualcosa non andava.
Impiccato a un gancio, ai piedi veleno per topi. Finisce così, con un cadavere in un casolare a Boccea la fuga di uno dei due killer della piccola Joy e del suo papà Zhou, uccisi selvaggiamente la sera del 4 gennaio nel quartiere di Torpignattara. Il marocchino, Mohammed Nasiri, 30 anni, pregiudicato con numerosi precedenti per rapina e furto, è stato trovato al chilometro 14 di via di Boccea: era morto da 3-4 giorni, accanto al corpo è stato trovato anche un cellulare. Gli investigatori sono certi che si sia trattato di un suicidio: prima l’uomo avrebbe ingerito il veleno per topi, poi si sarebbe impiccato
Sicuri, gli inquirenti, dice il Messaggero. Eppure non tutto torna: perché il veleno e poi la corda? Non bastava uno delle due? E poi, le parole del parroco di Santa Maria di Loreto, parrocchia della zona Boccea a due passi dalla zona del ritrovamento.
“Sotto il cadavere non c’era nulla, né una scala, né cassette della frutta, niente che potesse far raggiungere a quell’uomo quell’altezza”, ha raccontato il parroco della piccola chiesa Madonna di Loreto, vicinissima ai capannoni abbandonati. I carabinieri lo hanno fatto andare lì per dare l’ultima benedizione allo straniero. “Quando sono arrivato il suo corpo, vestito solo di un paio di jeans e una maglietta di cotone nera a maniche corte, era adagiato a terra.
Gli inquirenti hanno rimosso le prove? Hanno cambiato la scena del presunto suicidio? Improbabile.
L’ALTRO RACCONTO – No, ci sono due verità. C’è la verità delle inchieste: Mohamed si è suicidato perché nessuno lo avrebbe più coperto, perché stavano per arrivare, perché era braccato. Perché aveva il fiato sul collo, e la vita della piccola bimba di nove mesi gli pesava in maniera insopportabile sulla coscienza: proprio non ce la faceva a vivere con questo rimorso. E allora si è avvelenato, poi è salito a quattro metri d’altezza in qualche modo, si è appeso ad un gancio e si è buttato giù. E poi, c’è la verità di Torpignattara, una verità inconfessata che come spesso accade sembra la verità di Pulcinella. “A Tor Pignattara di come Zheng e la figlioletta Joy sono stati assassinati, in certi ambienti, raccontano un’altra storia. Una storia che forse è un romanzo. Ma è un romanzo?”, si chiede un’inchiesta di Notizie Radicali. Una storia che parla di un barista che non era solo un barista, visto che, quella sera, era pieno di soldi.
Zhou Zheng quella sera non era da solo; stava rincasando, aveva la figlioletta in braccio e con sé quella borsa colma di denaro ricavato dalla sua attività. Tanto denaro, quello che gestiva e raccoglieva. E non troppo lontano persone con l’incarico di fare sì che non accadesse nulla di spiacevole. Però quella sera non hanno saputo e potuto impedire che accadesse quello che è accaduto. Zhou Zheng e la figlioletta Joy vengono colpiti a morte; e i due magrebini tentano la fuga. Sono però subito presi da quelli che avevano l’incarico di proteggere Zhou Zheng. La borsa col denaro non interessa più di tanto, il denaro va e viene; ma quei due nord africani no, loro: catturati e portati in luogo sicuro, loro devono parlare, perché ci sono tante cose da spiegare e da capire. Come mai, per esempio, due magrebini una sera decidono di rapinare Zhou Zheng, e la rapina si conclude in modo così cruento e sanguinoso? Sono solo due balordi, o dietro e sotto c’è altro?
C’è altro? Forse c’è la storia di un equilibrio fra bande violato: nel bar di Zhou, c’era un money transfer, uno di quei servizi che le comunità di emigranti utilizzano per spedire a casa i propri ricavi, in modo che la fuoriuscita dalla madrepatria non sia inutile. E, nella comunità cinese, non è da tutti poter gestire un tale servizio, essenziale: insomma, Zhou non era esattamente l’ultimo dei cinesi romani. E potrebbe essere stato adeguatamente vendicato da chi di dovere, in un regolamento di conti fra microcriminalità: forse, secondo questa storia un po’ brutta, i due sbandati maghrebini sono andati dove non dovevano andare, e sono stati presi in custodia da dei giudici non proprio in toga. Qualcuno, forse, che aveva aiutato il giovane a nascondersi, ha passato l’informazione ad altri.
Come è arrivato Mohammed fino a quel casolare? I militari non hanno trovato un mezzo vicino al casale usato da lui per spostarsi, né un motorino né una macchina rubata. Niente. Impossibile raggiungere quella campagna ad almeno tre chilometri dalla via Boccea e dall’altra parte della città rispetto al quadrante dove il marocchino e il suo complice si muovevano con facilità (Torpignattara, Quadraro, Prnestino) a piedi. Allora lo scenario alternativo al suicidio potrebbe essere questo: chi ha permesso al marocchino di nascondersi e di fuggire per dieci giorni in città, da un rifugio all’altro, ha indicato l’azienda agricola fallita all’uomo come nascondiglio. E quella preziosa informazione potrebbe poi essere stata venduta a chi, oltre alle forze dell’ordine, dal quattro gennaio scorso dà la caccia al magrebino.
Qualcuno lo ha portato lì, glielo ha indicato come luogo sicuro, e poi qualcun altro è arrivato a prendersi gioco di lui.
LA MAFIA CINESE – Che la criminalità organizzata cinese sia realtà a Roma, non c’era bisogno del delitto di Torpignattara per evidenziarlo: il fenomeno criminale del Sol Levante, secondo un rapporto del Cnel presentato nemmeno due anni fa, nel maggio 2010, aveva adeguatamente sviscerato la forza e la presenza della Triade in alcuni centri del nostro paese, principalmente Milano, centro degli affari; Firenze e Prato, chinatown d’Italia; Roma, la nuova frontiera della colonizzazione criminale, da nord e da sud. E, prima di tutto, è una questione di spazi da rispettare: chi sbaglia, paga. Così, forse Mohammed e il suo complice erano due sbandati che cercavano soldi: se è così, hanno fatto un passo falso che hanno evidentemente pagato molto caro. In un’inedita luce appare ormai la capitale d’Italia, luogo di omicidi misteriosi, di regolamenti fra bande, di pesantissime infiltrazioni criminali. “L’insorgere della criminalita’ organizzata straniera, ovvero delle cosiddette nuove mafie, e’ un fenomeno molto importante; in particolare, al suo interno, la criminalita’ organizzata cinese e’ in notevole aumento”, diceva il ministro Roberto Maroni, presente alla pubblicazione del rapporto Cnel; “Le comunita’ cinesi osserva il ministro dell’Interno- tendono a insediarsi sul territorio, a far venire dalla madrepatria gli altri familiari e a creare cosi’ gruppi spesso chiusi, a formare tante piccole chinatown, con caratteristiche simili a quelle delle dell”ndrangheta calabrese e che dunque possono risultare molto pericolose e creare serie difficolta’ per l’incremento dei traffici sia leciti che illegali”. Simile alla ‘ndrangheta, la criminalità cinese, e questo vuol dire qualcosa di molto chiaro: vuol dire, ad esempio, che non c’è un vertice, un coordinamento, una cupola. Vuol dire che nel nostro paese operano delle cellule indipendenti nelle varie città.
LA TRIADE – Confermato, questo assetto, dalle dichiarazioni di uno dei (pochi) collaboratori di giustizia della criminalità cinese. “In Italia non c’è un’unica organizzazione criminale cinese”, dice la fonte degli inquirenti. “Ci sono gruppi dislocati sul territorio nazionale. Ogni gruppo ha un capo. I capi tra di loro si conoscono, perché sono amici per cui capita anche che si incontrino fra di loro o perché si è creato un contrasto tra i singoli gruppi e occorre, quindi, trovare una soluzione o perché si deve realizzare una qualche azione illecita che un singolo gruppo da solo nonè in grado di sostenere, per cui chiede supporto ad altri […] Quando i capi si incontrano tra di loro, nessuno degli affiliati può partecipare alla riunione. Dico questo perché spesso è capitato che ero in compagnia di W. [il capo del suo gruppo, ndr] quando questi si doveva incontrare con altri capi, per cui mi sono dovuto allontanare e loro si sono appartati”. E’ la Triade italiana, che opera in maniera indipendente di città in città, pronta a coordinarsi solo nei momenti di crisi; la Triade, organizzazione nata addirittura sotto gli imperatori cinesi, prima che arrivassero i coloni occidentali. “La Triade deve la propria denominazione nella seconda metà dell’Ottocento ai colonialisti inglese che, per primi, scoprirono l’esistenza di queste logge segrete, il cui simbolo di riconoscimento eraun triangolo equilatero, raffigurante secondo la cosmologia cinese le tre forze primordiali dell’universo: Uomo, Terra e Cielo”, scrive il Cnel. Come la mafia per le popolazioni del sud Italia in origine, la mafia cinese era la voce dei contadini, dei poveri, contro il signore lontano e tirannico: “I funzionari derivano il loropotere dalla legge, il popolo dalle società segrete”. La tradizione dell’associazionismo criminale in Cina è grande, ed è un tessuto difficile a morire: tanto forte, da venir esportato.
A ROMA – In Italia, la mafia cinese si occupa prevalentemente delle attività che in maniera spontanea si collegano alle necessità e alla vita quotidiana della comunità cinese: per sua natura, infatti, è difficile che le questioni della mafia cinese impattino su esponenti al di fuori della comunità – che controllano – se non si tratta di invasioni territoriali come quella che i maghrebini potrebbero aver causato: pessima iniziativa, quella di rapinare Zhou Zheng. “Immigrazione clandestina, prostituzione, contraffazione commerciale: sono le tre ‘attivita” sulle quali si concentra maggiormente la criminalita’ cinese che opera in Italia, con scarsi legami con la Triade della madrepatria, secondo quanto emerge dal rapporto sulla mafia cinese nel nostro Paese”, spiegava l’AdnKronos commentando il rapporto Cnel. Immigrazione clandestina: gestire il flusso di immigrati che arrivano ed escono dal paese, una sorta di import-export dalla Cina in cui il popolo di Pechino eccelle, ma sulla pelle dei migranti; contraffazione di merci, la proverbiale invasione del made in China; prostituzione, ricettazione, servizi finanziari, con appunto la gestione dei money transfer, ma non solo, perché sono alti i dati anche per i reati di usura e gioco d’azzardo (vera passione dei cinesi): di più, nemmeno alti come dovrebbero.
I reati di usura e gioco d’azzardo sono di gran lunga piùconsistenti di quanto appare dalle statistiche criminali. Il numero cosìbasso di reati usurai indica che i migranti cinesi, nel momento in cuisorgono problemi legati ai prestiti di denaro, fanno riferimento amodalità di risoluzione delle controversie interne alla comunità
Per ora, la criminalità cinese punta al controllo e al consolidamento della stretta sulle comunità cinesi nel nostro paese (“scarsi i legami con la Triade cinese”, dice il rapporto, come abbiamo visto), piuttosto che puntare al controllo del territorio a danno anche degli italiani: gli altri vengono coinvolti se sgarrano. A Roma, come altrove: la capitale, secondo le statistiche del Cnel, vede un aumento verticale dei numeri della comunità cinese.
Le zone di piccola Cina a Roma sono note: prima, piazza Vittorio Emanuele e il quartiere Esquilino, vera e propria Chinatown dei negozi di vestiti, proverbialmente sempre vuoti: come conferma anche il rapporto, è perché si tratta, in realtà, di venditori all’ingrosso, che al dettaglio praticano prezzi proibitivi che crollano quando si compra grandi quantità di merce.
SEMPRE PIU’ PRESENTI – Dall’Esquilino, lungo le direttrici di Porta Maggiore, le vie Casilina e Prenestina sono le nuove frontiere delle comunità orientali. Il che è dimostrato dal prezzo, astronomico, di una struttura commerciale al Casilino.
La commercializzazione di capi d’abbigliamento provenienti dalla madrepatria costituisce il settore maggiormente remunerativo degliimprenditori di Roma . Per capire quanto quest’ambito consenta deimargini di profitto di gran lunga superiore a qualsiasi altro, abbiamofatto riferimento a un indicatore che esemplifica la rilevanza delcommercio di prodotti importati dalla Cina. Ci riferiamo al prezzod’affitto per metro quadrato dei capannoni lungo la Casilina e laPrenestina dove viene momentaneamente allocata la merce sdoganata daiporti di Napoli e di Civitavecchia, in attesa di entrare nel circuito delladistribuzione commerciale. Nel corso di alcune osservazioni sul campo,è stato appurato che l’affitto mensile di un capannone di mille metriquadrati va da 10.000 a 20.000 euro
A Milano, in zona equivalente, si affitta a 6mila euro. Fra commercio, piccoli servizi telematici e finanziari e criminalità, la comunità cinese cresce i suoi figli nelle nostre città: figli di seconda generazione, che “si sentono italiani” dice il rapporto, e che, acquisendo “costumi occidentali”, hanno portato un grosso aumento dell’offerta di droga e stupefacenti da parte delle criminalità orientali: sono, secondo Giuseppe Pennisi su il Sussidiario, i “rami maggiori” della Triade nostrana, più importanti per giro d’affari e fatturato della piccola criminalità del commercio che “si è innamorata di Roma”. I dati dimostrano che, insieme all’integrazione degli orientali, non accenna a diminuire l’importanza della Triade tricolore, sempre più presente, invece, nelle nostre città.