L’ultima scorta del capitano Ultimo
15/11/2009 di Carlo Cipiciani
Sergio De Caprio, l’uomo che arrestò Totò Riina, da qualche settimana non è più protetto dallo Stato. Su di lui vegliano 120 carabinieri che, nelle ore libere, con auto proprie e in borghese, come privati cittadini, si sono messi a sua disposizione per proteggerlo
Ex allievo della Scuola Militare Nunziatella, vince il concorso per la prestigiosa Accademia Militare di Modena. Dopo aver prestato servizio presso la compagnia di Bagheria, entra nel Raggruppamento operativo speciale, il ROS. Impegnato nella lotta alla mafia, fonda il Crimor, scegliendo per questo gruppo i carabinieri più “balordi”, quelli relegati ai margini dall’Arma. E diventa il capitano Ultimo, il “cacciatore di mafiosi”.
LA PARABOLA DI ULTIMO – Dopo molti mesi di indagini, appostamenti, rilevazioni Ultimo e la sua squadra arrestano il capo dei capi la mattina del 15 gennaio 1993. Ultimo diventa l’eroe che ha avuto l’ardire di sbattere la faccia a terra a Totò Riina al momento dell’arresto, celebrato anche in una famosa fiction. Poi, come capita spesso in questo strano paese, il vento cambia. Il capitano si ritrova indagato dalla procura di Palermo, per la mancata perquisizione e sorveglianza del covo di Riina, che permette alla famiglia di svuotarlo. Pur se prosciolto da ogni addebito, ma nella sentenza si parla di “gravi responsabilità disciplinari”, di “omessa perquisizione della casa” di “abbandono del sito sino ad allora sorvegliato” che hanno “comportato il rischio di devianza delle indagini”. Il capitano De Caprio si ritrova improvvisamente solo, scaricato da tutti e trasferito al Noe, il Nucleo Operativo Ecologico. La sua squadra viene smantellata. Il capitano però comincia a denunciare “condotte omissive e arbitrarie di uno o più appartenenti all’Arma dei carabinieri” accusandoli tra l’altro “di avere agito, direttamente o indirettamente, nell’interesse dell’associazione mafiosa e in particolare dell’area riconducibile al latitante Bernardo Provenzano“. Ai procuratori di Caltanissetta indica il nome del colonnello Marcello Mazzuca, capo dell’Ufficio operazioni del Comando generale.
MA COME SONO ANDATE LE COSE? – Sono storie oscure, verità non sempre afferrabili. Dove possibili contrasti legati a invidie personali e fatti accertati si confondono tra sospetti ed accuse reciproche, in quella sottile linea di confine tra bene e male, giusto e sbagliato che chi sta in prima linea contro la mafia rischia spesso di varcare. E poi – ed è storia di oggi – emergono deposizioni e testimonianze che fanno ipotizzare che l’arresto di Riina sia stato frutto non solo della capacità investigativa del capitano e degli uomini del Crimor, il reparto speciale dei Ros comandato da De Caprio, ma che sia stato in qualche modo “pilotato”, come è stato più volte illustrato qui su Giornalettismo da Donato De Sena. E’ una verità che forse non riusciremo mai a sapere, quella della “trattativa” tra pezzi dello Stato e la mafia, che emerge dai dispostivi delle sentenze e dalle nuove deposizioni di vari personaggi tra cui il generale Mori, il capo di Ultimo. E’ persino possibile che il capitano sia stato in qualche modo “usato” da alcuni burattinai. Se a sua completa insaputa o meno, non è dato saperlo allo stato dei fatti accertati
UN SIMBOLO DA BUTTARE VIA? – Di sicuro c’è una cosa: il capitano Ultimo è un simbolo. Il simbolo dello Stato che arresta la mafia, l’uomo che ha catturato il “nemico pubblico numero uno”, quel Totò Riina che aveva dichiarato guerra allo Stato e fatto saltare in aria Falcone, Borsellino e le loro scorte. Difatti – quale che sia la verità nella storia della “trattativa” e quale che sia il ruolo di Ultimo nella vicenda – per lui Cosa nostra aveva deciso comunque una “punizione esemplare”. Secondo i racconti di molti pentiti, tra cui Cancemi, il capitano Ultimo andava sequestrato, torturato e poi assassinato, comunicando la sua esecuzione a tutta l’Italia. Ora la vita di Sergio di Caprio è molto probabilmente in pericolo, vegliata solo da colleghi che lo stimano e lo ritengono ancora un eroe. Ma fino a prova contraria il capitano Ultimo è un eroe: è anche al suo coraggio ed alla sua abilità che dobbiamo la cattura del Capo dei capi. Eppure, da qualche settimana, è privo di protezione da parte di quello Stato che, sempre fino a prova contraria, lui ha servito. Ed è proprio questo Stato, che non ha protetto adeguatamente eroici magistrati e le loro scorte, che lascia senza protezione un simbolo della lotta alla mafia, contemporaneamente celebra in un tripudio di retorica gli eroici carabinieri e civili italiani morti nell’attentato di Nassirya. Anche loro caduti in nome di uno Stato più bravo a commemorare che a difendere i suoi servitori.