L’uomo dei volantini – parte prima
29/12/2013 di Clementina Coppini
‘Tutti possiamo fare a meno di qualcuno.’ L’undicesima Filippica iniziava così. Era la storia del figlio di Gianclaudio e della sua improvvisa morte. Andrea voleva spiegare come il male possa colpire tutti e come una società ottusa sia strutturata per non interessarsi a nulla. Già dalla prima frase lo colse la malinconia. Gli tornò in mente Claudia, la sua passione. Si ricordò l’ultima volta che si erano visti, a casa di amici. Aveva aspettato settimane per vederla, e lei lo aveva salutato distratta. Era arrivata con uno dei tanti accompagnatori estemporanei e la serata di Andrea era diventata inutile. Quella stessa notte aveva deciso di confessarle i suoi sentimenti, darsi una possibilità o togliersela: certe volte tra le due opzioni cambia davvero poco. Fin dalle elementari aveva sempre odiato le confessioni. Una notte di training autogeno e il giorno dopo l’aveva chiamata e tutto d’un fiato le aveva detto che la amava. Immaginava che non sarebbe servito a niente. Infatti lei gli aveva chiesto di incontrarlo per parlarne e poi aveva cambiato idea. Gli aveva scritto una mail dicendo che era meglio non vedersi. Poche righe e addio. Da quel giorno aveva potuto fare a meno di lei per forza. Cosa c’era pertanto di più vero di quella frase d’inizio? L’undicesima Filippica gli ricordò il suo cuore infranto e aumentò il suo coraggio. Nel raccontare una storia non violenta mise tutta la disperazione di un padre e di un popolo e anche sua. La lettera si concludeva con un invito a reagire, reagire, reagire. Il verbo ricorreva tre volte. Quando quella sera Gianclaudio lesse quella pagina non riuscì a trattenere le lacrime. In seguito si impegnò a provvedere a una capillare diffusione sottobanco del documento. “Servirà a qualcosa?” chiese Andrea. “A nutrire la speranza.” Giorgio non riusciva a non attingere al suo libro interiore di frasi epiche. “Speriamo.” Laura non era convinta. Gianclaudio si occupò della messa in rete del messaggio, mentre Andrea sciava con i suoi volantini e un piccolo esercito di giovani ne portava in giro migliaia di copie in più d’una città. Mai era stata fatta una distribuzione in così vasta scala di un’idea, da decenni. Laura osservava. Era preoccupata perché sapeva che non poteva durare, perché sentiva che sarebbero arrivati, perché non aveva ancora capito bene quando, ma questa rivoluzione non sarebbe rimasta pacifica ancora per molto. Infatti. Andrea fu avvisato da Gianclaudio sulla loro linea segreta, che segreta chissà se era davvero. “Due sicari stanno salendo alla locanda. Cercano te.” Andrea, che era sui campi da sci, chiamò Giorgio, che si precipitò da Laura. La trovò all’ingresso della locanda, davanti a due cadaveri. Li aveva freddati senza dar loro il tempo di varcare la soglia, un colpo per ciascuno. “Io prendo gli zaini. Dobbiamo andare subito. Andrea?” “Eccolo.” Andrea era già alla porta. Non pensò niente riguardo ai due morti. Evitò di farlo. Pensò soltanto che dovevano scappare subito, come aveva detto Gianclaudio al telefono. Scesero tutti e tre con gli sci fino a valle, dove li aspettava un camioncino della frutta. Si infilarono tra cassette di mele e arance e restarono lì, fermi e muti, per almeno due ore. A un certo punto l’automezzo si fermò e un giovane aprì il portellone. “Scendi, Laura, tu sei arrivata.” Laura fece un sorriso ad Andrea – il primo che lui vide sulle sue labbra da quando si erano conosciuti – e baciò sulla bocca Giorgio. Il camioncino ripartì. Andrea fissava Giorgio. “Non mi ero accorto che tra te e Laura ci fosse qualcosa.” “Neanch’io.” Addentò una mela. “Laura va ad affiancare il capo. A me è stata affidata la tua protezione.” “Ti piace?” “Sì.” Furono lasciati in un viottolo di campagna, dove li aspettava una macchina con le chiavi nel cruscotto e un navigatore innestato sulla meta da raggiungere. Guidarono a turno e, seguendo le indicazioni, in cinque ore erano a destinazione. Montefalco, una deliziosa soffitta sui tetti della città. Pareva un vecchio film a metà tra ricordi della Resistenza e la biografia di un pittore francese. “Quanto resteremo qui?” chiese Andrea. Non domandò se sarebbero stati al sicuro, perché la sicurezza gli pareva un argomento poco rilevante da trattare, per l’autore delle Filippiche. Non si stava ammalando di eroismo, ma certo non poteva intendere la propria sopravvivenza come una priorità. Che figura avrebbe fatto con Giorgio? “Non lo so. Dipende da quando ci scoprono.” La dodicesima Filippica parlava di un amore corrisposto rimandato a data da definirsi, causa rivoluzione. Giorgio rimase contrariato dalla lettura, ma fece finta di niente. Laura fu contenta di leggere la Filippica numero dodici. Se fosse stata una che piangeva avrebbe versato qualche lacrima. Andò dal capo. Lei e Merlino dovevano organizzare la missione del venerdì successivo. Lui, che aveva già letto il volantino, prima di studiare il piano le accarezzò per un microsecondo i capelli con affetto di padre, ma evitò ogni commento. In quell’oscena società gerontocratica in cui l’unico scopo dei vecchi era procrastinare al massimo la propria esistenza in vita, Merlino, vecchio pure lui, era diverso. La sua saggezza non era appannata e questo ne faceva un buon capo per una rivoluzione. La solita missione del venerdì fu un successo, ma non esagerato. Invece in modo del tutto imprevisto la storia d’amore mai cominciata di Laura e Giorgio fece più proseliti di qualsiasi altra Filippica. Dopo la prima giornata di distribuzione per terra c’erano pochissimi volantini. Buon segno, perché voleva dire che la gente magari non l’avrebbe mai letta, ma se l’era tenuta. Il volantino diventò una specie di moda e presto si arrivò a centinaia di migliaia di copie. Un best seller di un solo foglio. Fu subito chiaro a tutti, Merlino in testa, che la dodicesima Filippica era giunta a bersaglio. Il passaparola sulla rete fece il resto. Pareva che si fosse di fronte a una svolta. Seguendo la dodicesima, le altre Filippiche iniziarono a girare in rete. La copia cartacea però valeva di più. I volantini erano diventati un simbolo. All’improvviso, come capita in queste cose. Ciò non migliorò la situazione di Andrea. Stava aspettando Giorgio fuori da un negozio di Bevagna quando un uomo gli si affiancò. “Seguimi.” E, per sottolineare il concetto, gli puntò un’arma alla schiena. Giorgio uscì di corsa. “Vieni anche tu.” Cosa stava succedendo stavolta? Accidenti, anche se erano arrivati da poco si erano già ambientati, erano protetti dagli abitanti dei paesini umbri e avevano abbassato la soglia dell’attenzione, l’attitudine al sospetto. Era stato un errore, perché le spie sono ovunque. Fu loro ordinato di entrare in un portone. Dentro c’era un’incantevole corte fiorita inondata di sole. Forse faceva parte della perversione dei torturatori farti vedere quella meraviglia mentre ti strappavano le unghie. Andrea pensava a quanto tempo si può sopravvivere mentre il tuo corpo viene martoriato. Qualche volta gli era capitato di sentire testimonianze di persone che avevano subito di tutto ed erano lì a raccontarlo. Avevano quegli occhi acquosi, come se fossero costantemente oppressi da una patina di lacrime. Era obnubilato dal profumo dei fiori e dal terrore. Giorgio cercava di mantenersi freddo. Venne loro incontro una signora con i capelli bianchi e un abito azzurro che frusciava rassicurante. Il tizio mise via la pistola. “Buongiorno, Andrea. Buongiorno, Giorgio. Sono Mafalda. Purtroppo vi devo dare una brutta notizia.”