Ma Renzi può davvero asfaltare Silvio?
16/09/2013 di Donato De Sena
Matteo Renzi, si sa, risulta attualmente il leader politico più apprezzato dall’intero elettorato e viene accreditato da tutti gli osservatori delle maggiori chance di vittoria nel caso di caduta del governo e rapido ritorno alle urne.
«ASFALTEREMO IL PDL» – Il sindaco di Firenze, che non è mai entrato in Parlamento ed è stato protagonista della stagione della rottamazione, viene infatti percepito oggi (dentro e fuori dal centrosinistra) come principale elemento di discontinuità rispetto alla vecchia classe politica e come rara opportunità per un forte rinnovamento del sistema dei partiti. Ma, soprattutto, viene considerato (nel suo schieramento) come unico esponente capace di strappare (a differenza di altri compagni del Pd) voti determinanti a Pdl e Movimento 5 Stelle. Il livello di popolarità è così alto che ieri, intervenendo sul palco della Festa Democratica a Sesto San Giovanni, Renzi si è spinto fino a pronosticare la demolizione del consenso del centrodestra. «A Berlusconi – ha dichiarato il sindaco toscano nell’ex Stalingrado d’Italia – conviene restare nel governo, ha paura delle elezioni perché sa che se andiamo al voto asfalteremo il Pdl».
IL SINDACO SALE, IL PD NO – Si tratta ovviamente di parole legittime. Capaci di entusiasmare la folla. Di marcare la consapevolezza dell’ampio consenso. Forse di incrementare la propria popolarità. Ma che probabilmente non descrivono nel modo più corretto le possibilità di successo e insuccesso elettorale di quel centrosinistra che alle prossime Politiche potrebbe essere guidato da Renzi. Il sindaco gode della fiducia di una fetta di Paese certamente più larga della schiera di duri e puri che giurano fedeltà eterna al Cavaliere colpito da una condanna a 4 anni per frode fiscale. Ma i numeri relativi alle intenzioni di voto ai partiti, rivelano invece che la lunga corsa di Renzi verso Palazzo Chigi (apparentemente in discesa) è in realtà molto più difficile di quello che appare. Nel confronto personale il sindaco batte Berlusconi, certo. Ma i dati diffusi dai principali istituti di sondaggi che regolarmente monitorano le simpatie politiche degli italiani raccontano anche di un centrodestra composto da Pdl, Lega Nord, Fratelli d’Italia (e altre formazioni minori) ancora in vantaggio sul centrosinistra che alle ultime elezioni ha sostenuto Pier Luigi Bersani, formato da Pd e Sel. Le cifre diffuse nelle prime due settimane di settembre lasciano poco adito a dubbi.
IL CENTRODESTRA IN VANTAGGIO – In particolare, gli istituti Demos (attraverso un sondaggio realizzato tra il 10 e il 12 settembre e pubblicato stamane su Repubblica) e Lorien Consulting (rilevazione effettuata tra il 31 agosto e il primo settembre e ripresa da Italia Oggi) sono gli unici ad assegnare alla coalizione di centrosinistra un consenso più vasto del centrodestra di Berlusconi. Demos stima Pd e Sel a +1,8 punti da Pdl, Lega Nord e Fdi. Lorien, invece, segnala il centrosinistra a +1 dagli avversari. Tutti gli altri autori di sondaggi indicano un chiaro margine della coalizione azzurra. Ipr Marketing ad esempio (interviste del 2 settembre per il Tg3) assegna al centrodestra un vantaggio di 2 punti (35% contro 33%). Emg (rilevazione del 5-6 settembre diffusa dal Tg di La7) segnala Pdl ed alleati avanti di un punto percentuale netto (34,8% contro 33,8%). Euromedia Research (dati raccolti il 6-7 settembre e resi noti dal Giornale) attribuisce agli azzurri un margine di 3,6 punti (36,2% contro 32,6%). Ipsos (sondaggio del 9 settembre presentato a Ballarò) stima il centrodestra a più 0,4 (34,8% contro 34,4). Ispo Ricerche (cifre diffuse mercoledì scorso a Porta a Porta) segnala lo schieramento di Berlusconi a più 0,4 (34,2 contro 3,8%). Swg (interviste realizzate tra il 10 e l’11 settembre per la trasmissione Agorà) assegna al centrodestra un vantaggio di addirittura 4,5 punti (36,5% contro 32,5%). L’istituto Tecnè infine (rilevazione del 12 settembre per Sky Tg24) attribuisce a Pdl e alleati un margine di 2,6 punti (35,2% contro 32,6%). Numeri amari.
LA LEGGE ELETTORALE – Se è vero che il centrodestra è in vantaggio sul centrosinistra nella maggior parte delle rivelazioni effettuate di recente, è anche vero che piccoli margini (a favore dell’una o dell’altra coalizione) in assenza di una riforma elettorale rischiano di rendere inutile un improvviso ritorno al voto. Innanzitutto va rilevato che Renzi annuncia oggi una possibile facile vittoria ai danni di un Pdl al quale i sondaggisti non attribuiscono una rilevante perdita di consenso dopo la condanna in via definitiva per Berlusconi. Ma va anche sottolineato che un recupero e un capovolgimento dei numeri (dicono pure questo le ultime rilevazioni degli esperti) potrebbe non bastare per conquistare la maggioranza al Senato. Lo hanno già ben dimostrato le Politiche del 24 e 25 febbraio scorso, quando, pur ottenendo un maggior numero di voti su scala nazionale il centrosinistra di Bersani si è ritrovato a Palazzo Madama con un numero di seggi (123) di gran lunga inferiore alla soglia dei 158 (adesso 161) necessari per ottenere la maggioranza assoluta.
IL TEMPO PERSO – Non si tratta di un rischio effimero. A pensarci bene, le ripetute dichiarazioni di Pd e Movimento 5 Stelle in favore della (oramai quasi certa) decadenza di Berlusconi dalla carica di senatore (frasi al vetriolo cominciate il 31 luglio e proseguite ininterrottamente fino ad oggi) non hanno affatto generato scossoni nel livello del consenso ai partiti. E non ci sono motivi per credere che anche la prossima ufficializzazione della decadenza, e la successiva gestione del Pdl fuori da Parlamento da parte di Berlusconi, possano creare seri pericoli al solido blocco del centrodestra. Già, perché il Cavaliere e i suoi falchi hanno già annunciato la riscossa con il ritorno a Forza Italia. E sono riusciti, tra l’altro, ad evitare il crollo della popolarità del Pdl e del centrodestra proprio mentre l’avversario del futuro (già lanciato nella corsa alla segreteria del Pd) faceva il pieno di comparsate televisive, Feste Democratiche e prime pagine di giornali. Renzi, in poche parole, ha già avviato la sua campagna per il congresso d’autunno del Pd, ma ha conquistato (questo ci dicono i numeri dei sondaggi) molto consenso per sè e poco per il partito, proprio nel momento in cui sarebbe stato più facile «asfaltare» il Pdl.
LE RIMONTE DEL CAV – Anche il confronto con il passato può aiutare a scoprire quanto la rottamazione del Cavaliere sia in realtà molto più complicata di quella subita da Massimo D’Alema e Walter Veltroni, c’è poi il confronto con il passato meno recente. Il centrosinistra ha raggiunto massimi livelli di consenso (oltre il 35% di preferenze potenziali con centrodestra nettamente in affanno) proprio ai tempi della prima discesa in campo di Renzi (si ricordi il duello con Bersani e i confronti su Sky) durante la campagna per le primarie di coalizione. Ma erano gli stessi giorni, probabilmente non si tratta di una coincidenza, in cui il Cavaliere, che si rivelerà poi l’unico in grado di rappresentare il centrodestra, diceva di non essere intenzionato a candidarsi a premier, e il Pdl (martoriato dalle divisioni) discuteva invano della possibilità di scegliere, proprio come il Pd, un nuovo leader attraverso le primarie. L’esito delle imminenti elezioni politiche sembrava in quei giorni scontato. Ma la martellante campagna di Berlusconi (alla quale, è facile prevederlo, il Pdl non rinuncerà al prossimo giro) rese possibile una rimonta sulla quale forse nemmeno i sostenitori del Cavaliere avrebbero scommesso un centesimo.
LA DURATA DEL GOVERNO – Infine, la durata del governo. Anche la vita dell’esecutivo può condizionare la road map di Renzi verso la leadership del centrosinistra alle elezioni nazionali. Se è vero, infatti, che una rapida caduta di Enrico Letta può spianare la strada al rottamatore in procinto di diventare, quest’autunno, segretario del Pd, è anche vero che il sindaco di Firenze potrebbe ritrovarsi a competere con la destra proprio con il Porcellum che rende quasi impossibili (con un elettorato diviso in tre blocchi) la formazione di una maggioranza chiara al Senato. La sfiducia al governo di larghe intese potrebbe infatti compromettere ogni possibilità di accordo sulla legge elettorale (tra l’altro le norme in vigore premiano i partiti meno radicati, come il Movimento 5 Stelle) e mandare in archivio, quindi, il ritorno secco al Mattarellum che i renziani presenti alla Camera e al Senato hanno sostenuto in questi mesi con numerosi disegni di legge. Se il governo Letta riuscisse invece a durare anche il prossimo anno (la scadenza dell’esecutivo bipartizan è fissata al 2015) il nodo elettorale potrebbe essere stato già risolto (la nuova legge per il voto è stata legata al ddl del governo per la riforma istituzionale). A quel punto, però, soprattutto se l’economia dovesse dare segnali positivi, potrebbe essere proprio il premier in carica (che oggi si fa da parte nella partita del congresso) a mettere a rischio la candidatura del suo ambizioso segretario.
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