La storia dei mercenari norvegesi in Congo

20/08/2013 di Mazzetta

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COSA FACEVANO DAVVERO I MERCENARI NORVEGESI – I due non erano stinchi santo, le indagini degli ugandesi, dove Moland e French avevano aperto la sede della loro micro-agenzia di sicurezza hanno trovato una lettera che avrebbero indirizzato a Laurent Nkunda, pessimo signore della guerra finito sotto accusa per crimini contro l’umanità, al quale offrivano i loro servigi. Nei loro computer gli ugandesi hano trovato anche traccia di un’attività di sorveglianza di una banca di Kisangani e, per altro verso, James Banford di GQ, autore di un gran bel pezzo sulla storia dei due norvegesi, è riuscito a rintracciare un loro ex-socio, un britannico al quale avevano proposto proprio una rapina alla banca. Travestiti da soldati dell’ONU avrebbero dovuto compiere la rapina per conto di un mandante misterioso che voleva danneggiare un signore della guerra che in quella banca riciclava i suoi guadagni. Almeno così gli avevano spiegato, prima di litigare e di dividersi. Difficile credere alla storia del mandante, più facile credere che i due, passati da una serie d’ingaggi modesti e a corto di denaro, stessero ancora pensando alla banca, quando forse per un incidente o forse perché ubriachi hanno fatto secco il povero autista.

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SFORTUNATI TUTTI – Mercenari allo sbaraglio, pronti a vendersi a chiunque, anche il loro aspirante partner britannico ha ammesso che non avrebbe avuto problemi a rapinare la banca. Personaggi con poca arte e perennemente in cerca di una parte, che non sia quella di finire a far la guardia a una miniera, pagati come una guardia giurata a fare una vita orrenda. I due giovani norvegesi allo sbaraglio, senza neppure conoscere il francese, vichinghi persi nel cuore nero dell’Africa, così sfortunati che persino l’arma del delitto è stata recuperata per caso da un pigmeo nel cuore della foresta e consegnata alle autorità, anche se poi i giudici hanno ritenuto superflua qualsiasi autopsia o perizia balistica.

IL PROBLEMA DELLA PRIGIONE – I due prima si sono detti innocenti e vittime di un agguato, al quale sarebbero sfuggiti per miracolo, continuando poi a fuggire per timore di non essere creduti. Poi Moland confessò e chiese perdono ai parenti dell’ucciso, poi ritrattò di nuovo, ma a inchiodarlo resta anche un sms alla findanzata, nel quale prima di consegnarsi aveva scritto che era stato un incidente e che lui non voleva, niente agguati. I due erano sembrati essersi sistemati in maniera decente nella prigione di Kisangani, dove ai cronisti erano apparsi nella condizione di privilegiati e allo stesso tempo di benefattori tra gli altri 450 prigionieri, tutti neri. Che però a un certo punto del 2011 si sono ribellati contro la direzione del carcere, spingendo le autorità a rimuovere i due preziosi prigionieri e metterli “al sicuro” in un carcere militare. Dove sono andati a stare molto peggio,  privati delle libertà che si erano ritagliati e di ogni avere tra i tanti mandati dal comitato di sostegno che si è costituito in Norvegia per chiedere la loro liberazione.

FINE PENA MAI – Una condizione che ha già significato la morte di Moland, il meno stabile psichicamente e che ha sicuramente agggravato di molto le condizioni di detenzione anche per il suo compagno superstite. Appena di un anno più giovane, French ha legato il suo destino a quello dell’amico fin da quando ha lasciato l’esercito norvegese, condividendone tutti i tormenti africani fino all’ultimo, ora resta solo nella durissima impresa di riuscire a sopravvivere al carcere congolese e a una condanna infinita. Una condizione che probabilmente molti congolesi gli invidierebbero, e non perchè sono pigri e vorrebbero andarsi a riposare al suo posto.

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