La violenza sul ragazzo seviziato merita l’ergastolo. Ai parenti del carnefice
10/10/2014 di Boris Sollazzo
Prendere in giro un adolescente perché è grasso, deriderlo, è già vergognoso. Picchiarlo per questo è da vigliacchi. Violentarlo mentre dei tuoi amici lo tengono è ignobile. Farlo con una pistola-compressore di un autolavaggio è mostruoso. E dopo aver sentito questa follia, sei convinto che peggio non potrà andare. E invece arrivano i parenti del carnefice, che se ancora non lo sapete ha dieci anni più della vittima, e parlano. Senza chiedere scusa, senza vergognarsi, senza rispetto per chi lotta in un letto d’ospedale.
“Era un gioco”, dicono. “Non c’era volontà di fare del male”, aggiungono. Atroce. Ti viene voglia di urlare, di prendere uno a uno questi irresponsabili e giocare con loro. Farli divertire come il loro nipote, figlio, cugino ha fatto con il povero Vincenzo. Obbligarli a ridere, far sì che si assumano la responsabilità, passando per il proprio corpo, delle loro dichiarazioni schifose. Ma nessun consesso davvero civile prevede l’occhio per occhio, e anche se la rabbia è tanta, è sbagliato anche sperare di poterlo fare.
Ti fa star male sentire persone intelligenti dire che “è colpa di Napoli”. Per strada o sui media. Dimenticando magari che un adolescente che ha trucidato un extracomunitario, a Roma, ha visto il suo quartiere manifestare per lui, come se fosse un eroe. Non c’è antropologia regionale e culturale che tenga. Quelle parole superficiali e irrispettose di un povero ragazzo in lotta per la vita, sono indicative di un paese devastato nei valori, nelle valutazioni di ciò che sono i cardini della coesistenza sociale, nei sentimenti basici.
Non è quel 24enne folle e feroce a dover essere punito nel modo più severo. Lui quella pistola-compressore l’ha infilata nell’ano di un bambino, di un ragazzino, come avrà fatto anni fa, la bestia, con un rospo o una lucertola. Per ridere. Privo, totalmente, di un senso della vita elementare, di un rispetto naturale dell’esistenza altrui, della dignità del prossimo.
E capisci, dalle parole di quei trogloditi che lo proteggono, che ne difendono le azioni, che lui di colpe ne ha poche. Che l’ergastolo per un atto senza giustificazioni – un omicidio puoi spiegarlo ancora con un raptus o un eccesso di difesa, ma quel tipo di violenza carnale è premeditata e volta all’umiliazione massima, al procurare un dolore totale a uno più debole di te – debba essere dato a quei complici che tenevano Vincenzo. Non solo a quelli che lo facevano fisicamente, magari ridendo e senza opporsi all’ignominia che avevano davanti. Ma anche ai parenti dello stupratore, che hanno dimostrato che quella mancanza totale di rispetto per ciò che è giusto l’hanno instillata loro in quell’infame. Loro hanno fatto crescere un 24enne nella consapevolezza che le regole sono solo scomodi ostacoli da superare o aggirare, che non c’è punizione per alcun misfatto, che la vita, soprattutto degli altri, è un gioco e tu devi solo vincere, prevalere, schiacciare, deridere chi consideri inferiore o più debole.
L’ergastolo va dato ai mandanti. A chi quel tessuto sociale, culturale, emotivo l’ha creato. Non a quel 24enne, che in fondo non ha neanche i requisiti minimi di umanità per essere giudicato dalla società, dalla giustizia.
Non parlate di Napoli o Sud. Tutta l’Italia, ad esempio, nel caso di Ciro Esposito, ha voluto ignorare una morte ingiusta e folle, per mettere all’indice una t-shirt. Un’invasione. La volontà di conoscere la sorte di un ragazzo come loro, facendo sospendere per qualche decina di minuti di una partita. E anche nei giorni a venire e persino ora, Ciro spesso passa per carnefice e il suo assassino per una vittima degli eventi. E magari uno con precedenti per droga e con una maglietta con su scritto “Speziale libero” finisce per essere additato come uno stragista. Il tifo, il razzismo, la volontà di sentirci superiori, fa venir voglia a noi tutti di essere selvaggi, barbari, privi di ogni oggettività morale.
Quella pistola-compressore, insomma, l’hanno tenuta in mano tanti. Non solo il violentatore. E a tenere Vincenzo, c’erano un paio di ragazzi. E con loro i parenti di chi ha tentato di ucciderlo nel modo più barbaro. E a permettere che riaccadrà ci siamo noi. Che preferiamo ignorare le regole, che ci facciamo coinvolgere dai bassi istinti per insultare e deridere chi consideriamo inferiore. Siano quelli che chiamiamo terroni, elementi delle classi più disagiate, diversi per sessualità o anche solo per fisico, immigrati.
Vincenzo tornerà in piedi, probabilmente. Senza più il colon. Nella speranza che nessun altro altro trovi sulla sua strada un “bravo ragazzo” che lo umili ferendolo. Fisicamente e non. E magari torneremo ad indignarci. Magari ce la prenderemo con l’inciviltà meridionale, se ci converrà.
No, quel 24enne non è un mostro. O meglio lo è eccome.
Uno specchio mostruoso del paese che siamo diventati.