I Panama Papers sono pubblici, ecco come consultarli

Oltre undici milioni di documenti: sono pubblici gli archivi dei Panama Papers, l’archivio dei leaks provenienti dallo studio Mossack Fonseca di Panama: la legal firm che ha organizzato oltre 200mila società per schermare i movimenti di capitale di grandi della terra, vip, stelle dello sport e governanti. Una cessione informativa da circa 2,6 Terabytes che ora il consorzio di giornalisti investigativi, l’ICIJ che ha per primo pubblicato le informazioni, ha organizzato e sistematizzato tutti i documenti in suo possesso inserendole in un motore di ricerca liberamente navigabile.

I PANAMA PAPERS SONO PUBBLICI

Il Messaggero ci spiega a che punto siamo arrivati.

All’interno del sito offshoreleaks.icij.org c’è il succo di 11,5 milioni di documenti che mostrano gli spostamenti di capitale, e delle 200.000 società costituite per occultare la loro esistenza tramite conti esteri. Il bottino è stato sottratto da un hacker anonimo che si firma con il classico pseudonimo americano John Doe, e che ha saccheggiato 2,6 terabytes di dati custoditi dalla società di assistenza finanziaria Mossack Fonseca. Il pirata è motivato come ha scritto la scorsa settimana al giornale tedesco Sutteutsche Zeitung che gli fa da referente, dal desiderio di «esporre tutti i crimini» collegati al carteggio, e dimostrare il ruolo che la finanza offshore ha nell’accentuare la disuguaglianza economica che si sta creando in tutti i paesi ad economia avanzata.

 

 

Quali effetti concreti ha avuto la pubblicazione dei Panama Papers?

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Finora la pubblicazione del dossier ha contribuito a pochi casi di incriminazione, come ad esempio l’arresto e l’estradizione in Usa di Nidal Waked, un cittadino spagnolo, libanese e colombiano che l’Fbi considera uno dei maggiori esperti nel riciclaggio di denaro sporco. Effetto delle rivelazioni è stato piuttosto la pressione politica che ha portato alle dimissioni del pm islandese Sigmundur Gunnlaugsson, e all’imbarazzo di centinaia di altre figure pubbliche i cui nomi compaiono nelle liste. E’ emerso anche il ruolo che il ricco mercato dell’arte ha nell’occultamento di valuta e spesso anche nella compravendita di opere di provenienza furtiva, come il Modigliani “Uomo Seduto con il Bastone” sottratto dai nazisti alla famiglia Stettiner durante la guerra, e ora nelle mani del gallerista americano David Nahmad. E’ apparso ieri un appello firmato da 300 economisti di tutto il mondo, tra i quali il francese Thomas Piketty, il Nobel Angus Deaton e l’americano della Columbia University Jeffrey Sach, nel quale si invocano misure di controllo da parte delle autorità internazionali e dei singoli governi, che rendano trasparenti le manovre. Nell’analisi degli estensori del documento, la fuga di capitali colpisce soprattutto i paesi più poveri con una perdita di almeno 170 miliardi di dollari l’anno in tasse non riscosse.

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