Caporalato: perché Paola Clemente non è morta invano
23/02/2017 di Stefania Carboni
Si chiamava Paola Clemente ed è morta nelle campagne di Andria il 13 luglio 2015. Morta sul lavoro, stroncata da un infarto, mentre lavorava all’acinellatura dell’uva. Oggi, finalmente, sei persone sono state arrestate per la sua morte, Perché coinvolte a vario titolo in reati riconducibili al “caporalato”.
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MORTE PAOLA CLEMENTE: SEI ARRESTI. BRACCIANTI PAGATE 30 EURO PER 12 ORE DI LAVORO AL GIORNO
Paola era stata assunta da un’agenzia interinale ma non avrebbe mai fatto alcuna visita medica a riguardo. Dopo un’inchiesta di Repubblica e l’intervista al marito, la Procura di Trani ha deciso di riesumare il suo corpo. Quello che è emerso è sconcertante: la donna era affetta da “sindrome coronarica acuta”. Paola era affetta da ipertensione (che stava curando) e cardiopatia.
Riporta oggi Repubblica:
In carcere sono finiti Ciro Grassi, il titolare dell’azienda di trasporti tarantina che trasportava in pullman le braccianti fino ad Andria; il direttore dell’agenzia Inforgroup di Noicattaro, Pietro Bello, per la quale la signora lavorava; il ragioniere Giampietro Marinaro e il collega Oronzo Catacchio. Stessa sorte anche per Maria Lucia Marinaro e la sorella Giovanna (quest’ultima ai domiciliari). La prima è la moglie di Ciro Grassi, indagata per aver fatto risultare giornate fasulle di lavoro nei campi con lo scopo di intascare poi le indennità previdenziali, e la seconda avrebbe lavorato nei campi come capo-squadra.
Le braccianti – secondo quanto emerso dalle indagini della Procura di Trani – guadagnavano 30 euro al giorno per 12 ore di lavoro. Iniziavano dalle 3.30 del mattino, quando si riunivano per essere portate nei campi e finivano alle 15.30, quando ritornavano a casa dopo il tempo trascorso tra i campi di Taranto, Brindisi e Andria.
UNA LEGGE PER PAOLA
Ora c’è una legge che contrasta il caporalato. Con pene più severe come la confisca dei beni e sei anni di carcere (otto se c’è violenza o minaccia) per chi commette il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Oltre al carcere è prevista una sanzione da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato. Multa che arriva anche a 2 mila euro se vi sono minacce o violenze. Nella legge è prevista l’estensione delle provvidenze del fondo anti-tratta e le amministrazioni devono vigilare e tutelare le condizioni del lavoro agricolo con un piano ad hoc per l’accoglienza dei lavoratori. Si può fare però di più.
CAPORALATO: LEGGE 199 ATTACCATA TUTTI I GIORNI
La legge 199 di contrasto al caporalato viene attaccata quasi quotidianamente dalle associazioni datoriali. A sostenerlo sono, in una dichiarazione congiunta, Pino Gesmundo, segretario generale Cgil Puglia, e Antonio Gagliardi, segretario generale Flai Cgil Puglia. «Ma senza il coraggio e gli esposti della sua famiglia, sostenuta fin dal principio dalla Flai e dalla Cgil pugliese – aggiungono – la tragica fine dell’operaia agricola sarebbe stata derubricata a casualità. Solo una settimana fa, durante la nostra iniziativa con Susanna Camusso, sul palco dell’assemblea regionale a Taranto abbiamo ascoltato Stefano Arcuri, il marito di Paola, chiedere che quanto accaduto possa almeno servire affinché nessun altra tragedia del genere debba mai più ripetersi». «Alla magistratura – continuano Gesmundo e Gagliardi – il compito di accertare fino in fondo le responsabilità. Quel che invece è urgente e rilanciamo con forza è avviare un tavolo istituzionale permanente presso la Prefettura di Bari, che secondo il Protocollo sperimentale di contrasto al firmato nel maggio del 2016 ha il compito di coordinare tutte le prefetture della regione – per monitorare il fenomeno dello sfruttamento nelle campagne e rendere applicabili le nuove norme di contrasto al CAPORALATO. C’è già la disponibilità della Regione Puglia manifestata dal dirigente Stefano Fumarulo».
(in copertina foto ANSA/UFFICIO STAMPA POLIZIA)