Paolo Bovi: chi è il “sesto Modà” accusato di molestie su minori
15/01/2014 di Alberto Sofia
Accusato di molestie sessuali ai danni di quattro ragazzini di una parrocchia milanese, Paolo Bovi, fondatore ed ex tastierista dei Modà – dal 2005 passato dietro il palco come fonico del gruppo pop italiano – è finito agli arresti domiciliari. Una misura cautelare eseguita a Milano per la prima volta con l’utilizzo del braccialetto elettronico, strumento previsto nello scorso decreto Cancellieri, che ha ha ampliato il suo utilizzo da parte dei magistrati.
PAOLO BOVI (MODÀ) ACCUSATO DI MOLESTIE SESSUALI SUI MINORI – L’uomo, residente nell’Hinterland Milanese, è stato arrestato dalla polizia e posto ai domiciliari dall’autorità giudiziaria. Secondo quanto ha spiegato il Corriere della Sera, Bovi aveva fondato insieme al frontman del gruppo “Kekko” la band arrivata seconda nel 2011 e terza nel 2013 al festival di Sanremo nell’oratorio di una chiesa di periferia di Milano. Un luogo frequentato da anni dal fonico dei Modà, un 40enne incensurato, cresciuto proprio in quell’oratorio, dove faceva l’animatore, insegnando chitarra ai ragazzi. Era diventato un luogo simbolo: sempre nella stessa parrocchia organizzò il primo concerto dei Modà: «Eravamo all’oratorio e venne giù il diluvio universale, eppure riuscimmo a radunare circa 500 amici e conoscenti», rievocava Paolo Bovi nel 2011 su «Il Giorno», come racconta il Corsera. Oggi quella stessa parrocchia è diventata nota per l’inchiesta che lo vede agli arresti domiciliari, con l’accusa di aver molestato nel 2011 quatto ragazzini tra i 13 e i 16 anni. Le quattro violenze si sarebbero consumate all’esterno della struttura, in altri luoghi dove Bovi avrebbe attirato le giovani vittime.
PAOLO BOVI AI DOMICILIARI CON IL BRACCIALETTO ELETTRONICO – Nella parrocchia Bovi era conosciuto da tutti o quasi. I genitori si fidavano di lui, fino a quando alcuni allievi hanno iniziato ad avere comportamenti strani. Poi, il racconto delle molestie subite dal loro maestro di chitarra. In questo modo è partita l’inchiesta sul 40enne, nato a Cernusco sul Naviglio, ma residente a Cassina de’ Pecchi. Con l’ordinanza, emessa dal gip Luigi Gargiulo su richiesta della Procura, è stata disposta la misura degli arresti domiciliari con l’obbligo del braccialetto elettronico. Un provvedimento che è stato applicato per la prima volta nel capoluogo lombardo. Come ricorda il Corriere della Sera, le violenze contenute nell’accusa, sarebbero avvenute nel 2011 ma le denunce dei genitori sono arrivate solo nel 2013: è stata una madre ad accorgersi di come il figlio fosse spesso nervoso e violento, fino a quando il ragazzo ha raccontato degli abusi subiti dall’animatore. Dopo essersi confrontata con altri genitori, sono poi emerse altre storie di violenze. Si parla di “penitenze” da scontare, in occasione di partite perse a “strip poker” in parrocchia. Ma non solo: si parla anche di massaggi e giochi a sfondi sessuali. In particolare, in un’occasione, Bovi avrebbe convinto un minore a sdraiarsi nudo assieme a lui all’interno di un sacco a pelo utilizzato durante un campeggio in Val d’Aosta. Nell’ ordinanza il gip Gargiulo ha definito gli atti di “lieve entità”, per il motivo che non sarebbero stati consumati rapporti sessuali completi. Attraverso testimonianze e intercettazioni, è stato però possibile incastrare Bovi, da tempo già allontanato dalla parrocchia.
Paolo Bovi con i Modà durante alcune prove audio
BRACCIALETTO ELETTRONICO: SCARSO UTILIZZO – Bovi sarà costretto a portare il braccialetto elettronico. In realtà, una cavigliera che – come spiega il Corsera – è tarata per per resistere a 70 gradi di temperatura e 40 chili di trazione, in un ambiente domestico «mappato» da una apposita centralina collegata con le forze dell’ordine. A Milano è stata la prima applicazione dopo il decreto Cancellieri. Nonostante questo strumento sia operativo già da quasi dieci anni, con costi rilevanti per lo Stato, l’uso è stato per ora limitato. Se sono due mila i braccialetti a disposizione dell’autorità giudiziaria – come prevede il contratto stipulato dal ministero dell’Interno con Telecom, che scadrà al termine del 2018 – ne vengono utilizzati appena il 2%, ovvero 55. Il motivo? La scarsa conoscenza dello strumento e della procedura di attivazione. Soltanto una decina sono gli uffici giudiziari che utilizzano i braccialetti, in gran parte nelle grandi città (Milano, Torino, Napoli, Palermo). Il sistema, nonostante lo scarso utilizzo, sembra però funzionare, dato che è stata registrata soltanto un’evasione. Nell’abitazione dei soggetti obbligati al braccialetto viene anche installata un’apparecchiatura, che avvisa la Centrale operativa delle forze dell’ordine, qualora il detenuto esca dal suo appartamento, tenti di rompere lo strumento o la stessa centralina. Il sistema non è infine incompatibile con il rilascio di permessi di uscita.
LA DICHIARAZIONE DEI MODA’ – E con un breve comunicato stampa i Moda’ dichiarano: « Siamo agghiacciati alla sola idea che sia potuto succedere quello di cui non abbiamo mai avuto alcun sentore. Speriamo che la magistratura concluda presto le indagini e che il loro esito non sia terrificante come lo è il loro avvio.»