Piazzapulita e le magliette firmate prodotte a 90 centesimi da bengalesi sfruttati
28/04/2017 di Redazione
Un comune invaso da migliaia di operai bengalesi che lavorano in condizioni di illegalità nel settore tessile. In aziende che operano senza rispettare le leggi in vigore sia in materia fiscale che di tutela dei diritti dei lavoratori. E che talvolta producono per grandi marchi. A costi ovviamente bassissimi. È quanto raccontato da un’inchiesta del programma di La7 Piazzapulita realizzata dalla giornalista Alessandra Buccini mandata in onda nel corso della puntata di ieri.
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A PIAZZAPULITA OPERAI BENGALESI SFRUTTATI NEL SETTORE TESSILE
Il territorio invaso dagli stranieri sfruttati in piccoli e grandi fabbriche è quello di Palma Campania, centro di circa 15mila abitanti in provincia di Napoli, dove la forte presenza di bengalesi ha anche scatenato la rabbia e le proteste dei residenti. «Hanno riempito un paese di 7/8mila bengalesi senza controlli. Ci sono case affittate con 20 persone dentro. A scuola c’è la tubercolosi, ci sono topi, zecche», è la denuncia di alcune donne davanti alle telecamere. Le immagini mostrano centinaia di bengalesi che alle prime luci dell’alba aspettano i padroni delle fabbriche, che li prelevano per portarli a lavorare in fabbriche della zona, ad esempio nel distretto tessile di San Giuseppe Vesuviano. «Oramai è tutto in mano ai bengalesi, solo in questa zona ci sono 300 aziende, è tutto in mano a noi», racconta uno degli stranieri che conosce bene il business.
La giornalista, fingendosi imprenditrice tessile, è anche entrata in alcune sartorie. Un gestore bengalese davanti alla telecamera nascosta rivela le paghe bassissime destinate agli operai e i turni disumani. «Si lavora tutti i giorni, anche la domenica, dalle 7 alle 9 di sera, loro lavorano e mangiano, lavorano e mangiano», dice.
A PIAZZAPULITA MAGLIETTE FIRMATE PRODOTTE A 90 CENTESIMI DA BENGALESI
Tra i vari capi a sorpresa spunta anche uno dei marchi italiani più importanti: Liu Jo. Nella fabbrica vengono magliette prodotte a 90 centesimi a pezzo. Il titolare bengalese spiega che non lavora direttamente per la nota azienda, ma per un’altra azienda intermediaria, la Corsair srl, con sede in Nola. I rappresentanti della Corsair non hanno voluto rilasciare interviste, limitandosi a dire, via mail di non poter effettuare controlli che non gli spettano sulla modalità di organizzazione del lavoro di altri operatori e aggiungendo che a loro risulta avere rapporti commerciali solo con soggetti che operano nell’assoluta regolarità. «Sono fornitori per 1.500 pezzi, una parte marginale», è invece quanto afferma l’amministratore unico di Liu Jo, che precisa di non aver avuto nessun rapporto con i produttori bengalesi. «Penso che sia una cosa assolutamente illegale», è il suo commento delle immagini della sartoria. «Il problema – continua – va assolutamente riportato. Noi per evitarlo ci fidiamo delle persone a cui noi appaltiamo e che hanno una struttura in ordine. Da lì quello che accade non è facile comprenderlo. Se si sposta la produzione ad operai bengalesi in un sottoscala non possiamo essere responsabili. Non possiamo controllare tutta la filiera».
(Immagine: screenshot da video di Piazzapulita)