Quando i polli ebbero i denti

15/07/2008 di Dario Ferri

Contro e disinformazione: il rogo di Primavalle. Storia di una strage diventata omicidio colposo, e di un depistaggio scientifico attuato alle spese di due morti bruciati. I cui colpevoli sono ancora a piede libero.

Sono le tre della notte tra il 15 e il 16 aprile del 1973 a Roma, nella borgata Primavalle, quartiere operaio, dove i partiti di sinistra ad ogni elezioni prendono oltre il 60% dei voti. Scoppia un incendio a via Lorenzo Campeggi, nella casa di Mario Mattei, spazzino ma anche (e soprattutto) segretario della sezione missina di zona. Erano stati versati cinque litri di benzina sotto la porta, e un fiammifero aveva fatto il resto. Mario e la moglie Anna sentono uno scoppio, si svegliano di soprassalto e corrono dai figli, poi si catapultano fuori di casa. Due di loro, però, Virgilio di 22 anni (militante missino anche lui) e Stefano di 8, rimangono bloccati nel rogo. Del primo si vedrà la famosa foto scattata quella stessa notte mentre con la faccia gravemente ustionata chiede aiuto dal balcone. Inutilmente. I pompieri arrivano alle 3 e 30, ma è già troppo tardi.

RIVENDICAZIONE? – Nel cortile della casa di via Campeggi la polizia trova un foglio a quadretti con la scritta “Brigate Tanas – guerra di classe – morte ai fascisti – la sede del Msi Mattei e Schiavoncino colpiti dalla giustizia proletaria”. Scattano le perquisizioni ai militanti dell’estrema sinistra. In casa di Achille Lollo, militante di Potere Operaio, viene rinvenuta una lista di proscrizione di militanti della destra da punire, tra i quali c’è proprio Mattei. Un altro netturbino, ma con la propensione ad alzare il gomito, dice al magistrato Domenico Sica, che si occupa del caso, che Lollo la sera prima stava insieme a Marino Clavo e Manlio Grillo (altri due militanti di PotOp): partono i mandati di cattura per tutti e tre: solo il primo, già in custodia, finisce dentro; gli altri due scappano.

ABBI DUBBI – Ma nel quartiere si parla di un’altra verità, antitetica a quella ufficiale. “Se lo so’ fatto da soli”, è la vox populi che comincia a girare quando le fiamme non si sono ancora spente del tutto. Il motivo viene subito individuato: Mattei, almirantiano aveva appena strappato la segreteria della sezione ad Alessio De Meo, della corrente di Rauti, e aveva sospeso un altro militante, Vilfredo Zampetti, mentre un terzo, Angelo Lampis, aveva “avvertito” la moglie del dirigente Msi del rischio attentati. Avvertito o minacciato? Intanto Clavo, uno dei tre arrestati, dalla latitanza rilascia un’intervista a “L’Espresso” nella quale fornisce un alibi: quella sera era con Diana Perrone, figlia del direttore del “Messaggero”, e un certo Paolo Gaeta, anch’essi militante di PotOp. Cena fino a tardi, parlando del fulgido destino del proletariato. Niente Primavalle, niente rogo, niente attentato. Ma la Perrone e Gaeta prima confermano, poi ritrattano davanti al magistrato. PotOp li espelle dal movimento per ignominia. Si sono venduti alle guardie, è l’accusa, per incastrare un innocente.

CONTROINFORMAZIONE E DISINFORMAZIONE – La stampa alternativa punta subito la pista diversa da quella ufficiale. “Lotta Continua”, nella settimana successiva alla strage, titola: “La provocazione fascista oltre ogni limite: arriva al punto di uccidere i suoi figli. Un bambino di 8 anni è il costo di una criminale vendetta fascista”; “Il Manifesto” ne è sicuro: “Delitto nazista a Roma”, “La montatura contro la sinistra si sgretola”, la fiamma che ha ucciso i Mattei è “tricolore”. D’altronde, i precedenti c’erano eccome: ancora incredibilmente in piedi era il processo Valpreda, il cadavere di Pinelli era ancora caldo, ma soprattutto c’era stato da poco il caso Azzi: un’esplosione in una toilette del direttissimo Torino-Roma, a causa di un detonatore maldestramente azionato da Nico Azzi, militante dei fascisti de “La Fenice”. Il piano prevedeva invece una strage sul treno – l’ennesima – con l’abbandono sul posto di copie del giornale “Lotta Continua”, cosa che doveva funzionare da rivendicazione per gettare la colpa sulla sinistra. L’opinione pubblica viene definitivamente convinta dal Messaggero, che si schiera sulla linea innocentista. Il motivo? A parte il caso Perrone, il giornalista del quotidiano Ruggero Guarini spiegò che all’epoca Stefania Rossini e Lanfranco Pace (oggi collaboratore del Foglio e conduttore di “Otto e mezzo” su La7) vennero da lui e gli dissero: “Credi davvero che ragazzi intelligenti, colti, preparati come noi, dei marxisti seri che leggono i Grundrisse di Karl Marx possano individuare in un povero netturbino, segretario della sezione del Msi di Primavalle, un nemico di classe?”. Il ragionamento non faceva una grinza.

COMPAGNI DAI CAMPI E DALLE BOUTIQUES – PotOp fa le cose in grande: a ottobre pubblica un’inchiesta sulla rivista Controinformazione nella quale racconta le faide interne alla sezione missina, e dice che l’incendio in realtà si è sviluppato da dentro la casa. Le perizie smentiscono l’ipotesi, ma si sa: le perizie le fa la polizia. Un anno dopo pubblica un libro (“Primavalle. Incendio a porte chiuse”) che ancora si trova tra le bancarelle dell’usato a piazza della Repubblica. Franca Rame in una lettera datata 28 aprile 1973 scrive al Lollo: “Ti ho inserito nel Soccorso rosso militante. Riceverai denaro dai compagni, e lettere, così ti sentirai meno solo”. D’altronde, il movimento – in cui all’epoca militava anche Valerio Morucci, poi rapitore di Moro, compagno di Adriana Faranda e “dissociato” – era di quelli di “alto livello”. Amico del proletariato, sì, ma con tanti contatti tra la gente perbene. Il suo leader riconosciuto e ancora oggi venerato, Franco Piperno, aveva sposato Fiora Pirri Ardizzone, figlia del proprietario del Giornale di Sicilia. Fece anche che scalpore che testimone di nozze fu l’allora ministro dell’Interno Franco Restivo, cosa che aveva suscitato l’ironia di Leonardo Sciascia, che nel suo racconto “Il contesto” lo caricaturizzava nel “leader del gruppo ‘Rivoluzione permanente’, disinvolto frequentatore di salotti e di ministri”. Sono compagni dai campi e dalle boutiques, ma godono di un’autorevolezza significativa. E due anni e due mesi dopo ne colgono i frutti: la corte d’Assise assolve, anche se solo per insufficienza di prove, i latitanti Grillo, Clavo e soprattutto Achille Lollo (a Primavalle, vicino al centro sociale Break Out, c’è ancora una scritta sul muro che inneggia alla sua liberazione), che subito se ne vola via anche lui, in Brasile. Giustizia è fatta?

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