Quando Prodi svendeva le aziende pubbliche

14/05/2012 di Donato De Sena

DC E PSI CONTRO – Tutto sembrava filare liscio. Ma all’indomani dell’operazione economico finanziaria i distinguo fecero emergere come le trattative si erano svolte in maniera frettolosa e senza considerare l’opportunità di offerte migliori. La politica si divise. La Dc salutò con favore la vendita delle industrie alimentari di Stato alla Buitoni di De Benedetti, il ministro delle Partecipazioni statali Darida gradì, si parlò di una cessione senza alternative. Il Psi e il suo leader Bettino Craxi, risposero con un lungo dossier di interrogativi sull’operazione. Alcuni esponenti del Garofano parlarono di un’offerta della Lega delle Cooperative per 700 miliardi.

LO STALLO – La situazione degenerò drasticamente nelle settimane successive. Con Darida e Prodi che chiedevano la questione venisse chiusa nel più breve tempo possibile e il Psi che insisteva nel sollevare le proprie perplessità. La vicenda della vendita della Sme finì in Parlamento. Ma cinque ore di dibattito alla Camera, il 16 maggio, non servirono a fornire chiarimenti e un rasserenamento delle posizioni in campo.  Il ministro e il presidente dell’Iri ricordavano agli interlocutori come il settore alimentare non fosse strategico per il Paese, e come il deficit della bilancia commerciale derivasse dal comparto agricolo e non dall’industria di trasformazione di cui faceva parte lo Sme. I socialisti, attraverso il sottosegretario Giuliano Amato, chiedevano che l’autorizzazione alla vendita venisse bloccata finchè non sarebbero state ascoltate organizzazioni di settore, non sarebbero state valutate altre offerte, non sarebbero stati chiariti tutti i dettagli del prezzo pattuito con De Benedetti. Un atteggiamento che qualcuno lesse come un tentativo di Craxi e del suo partito di non essere scavalcati nelle decisioni che legavano il mondo della politica e l’alta finanza.

Share this article