Quarto anno di primavera in Bahrein

18/02/2014 di Mazzetta

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LE RELAZIONI PUBBLICHE – Altra egregia farsa è stata la commissione d’inchiesta internazionale voluta dal regime, che ha correttamente evidenziato quanto sopra e fatto le sue raccomandazioni, che il regime ha promesso di osservare. Morale della favola: non è cambiato niente, se non che i mercenari pachistani guidati dai due capi anglosassoni stanno attenti a non uccidere troppo. Se ci scappa il morto comunque non paga nessuno e comunque ben pochi possono testimoniare quel che succede, il materiale pubblicato in rete dagli attivisti, pur abbondante, non guadagna l’attenzione dei media occidentali. Il paese per di più è off limit ai giornalisti stranieri, salvo quelli al seguito di eventi culturali o sportivi, che in genere tornano a casa senza aver scritto una riga delle proteste e mai dimenticano di citare la squisita ospitalità e il lusso delle strutture costruite con i soldi del petrolio. Nemmeno le polemiche che si sono concentrate sul Gran Premio di Formula 1 ne hanno impedito lo svolgimento, da due anni il circo arriva e riparte tenuto a distanza dalla popolazione e chi parla male della situazione è espulso dal regime o castigato da Ecclestone, secondo il quale ci sono delle malelingue che diffondono informazioni false perché lui non ha visto niente di problematico. Eppure c’è ampia prova ad esempio che il regime abbia raso al suolo tutte le moschee sciite (un centinaio) e se in un paese qualsiasi un altro regime avesse fatto lo stesso con, ad esempio, delle chiese cristiane, si può star sicuri che le opinioni pubbliche delle grandi democrazie sarebbero state informate con dovizia di particolari e non sarebbe mancato un buon numero di media e di politici giustamente veloci nel gridare all’oltraggio e alla barbarie. E invece niente.

TUTTO COME SEMPRE – Il resto è un capolavoro di pubbliche relazioni e costoso lobbysmo, ma non sono i soldi che mancano e così gli al Khalifa dopo la strage alla rotonda della Perla hanno anche potuto permettersi di eccepire sulla risposta del regime di Assad alle proteste senza che nessuno facesse una piega. Il regime dice che a protestare sono terroristi spinti dall’Iran, mentre in realtà le rivendicazioni della piazza sono condivise anche dalla minoranza sunnita e sono le stesse che i locali avevano ai tempi di Belgrave e riportate nelle chiarissime interviste della BBC dell’epoca. Il fatto che nel paese ci sia una maggioranza sciita è ovviamente malvisto dai vicini e potenti sauditi, che comunque da quel che si capisce sono pronti a intervenire anche nei microstati del Golfo per assicurarsi che la repressione di qualsiasi sussulto democratizzante sia rapida e severa.

EPPURE RESISTONO – Purtroppo per loro, non sembra proprio che i suoi abitanti siano dell’idea di accettare il regime così com’è e la repressione non ha fatto che scavare un solco ancora più profondo tra la tirannia e il popolo, al quale è negata prima di tutto la certezza del diritto, come testimoniano le innumerevoli storie di soprusi da parte dei membri della famiglia reale e quelle sulla leggendaria corruzione del primo ministro, sempre lo stesso da 40 anni. Ma il re non vuole cambiare nemmeno lui, che poi è suo zio. Gli abitanti di Manama resistono e negli ultimi tre anni non si sono notati loro cali di tensione e nemmeno evoluzioni verso la lotta armata, tanto che i membri della famiglia reale s’incontrano abitualmente con quelli dell’opposizione in pubblico e senza particolari misure di sicurezza, la migliore dimostrazione che di «terroristi» in effetti non ce ne sono.

UNICI NEL LORO GENERE – La primavera del Bahrein rimane così del tutto originale, non è stata stroncata come in Algeria, Marocco o negli altri paesi del Golfo, ma non è nemmeno riuscita nel suo intento, tanto che oggi il regime è molto più oppressivo di un tempo, anche se questo all’apparenza non ha inciso sulla determinazione e civiltà di chi protesta. Una determinazione ammirevole che merita di essere seguita per vedere cosa riuscirà a conseguire, anche se per ora non cattura nemmeno l’attenzione dei paladini delle rivoluzioni nonviolente, né quella degli ammiratori di Gandhi o degli esportatori di democrazia. Una tirannia feudale come quella del Bahrein dovrebbe essere qualcosa che non ha diritto di cittadinanza nel ventunesimo secolo, una facile coccarda da appuntare ad esempio  al palmares dei grandi democratizzatori americani, che nella loro base in loco hanno abbastanza da conquistare dieci Bahrein in mezz’ora. Se non succede è perché si va bene così e i diritti dei cittadini del Bahrein non interessano a nessuno, se non a loro.

 

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