Quelli che rivendicano l’indipendenza del Territorio Libero di Trieste
29/04/2014 di Maghdi Abo Abia
Venerdì 25 aprile l’Italia ha celebrato il sessantanovesimo anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale. Ma nel descrivere i turbini secessionisti che negli ultimi mesi hanno interessato varie parti del nostro Paese, da nord a sud, emerge quasi il rischio che l’integrità politica dell’Italia sia messa in discussione da una politica che non riconosce le esigenze dei campanili. O più semplicemente, non se n’è mai occupata. Ed è quello che sta accadendo in molte zone d’Italia, tra cui Trieste.
VOGLIA D’INDIPENDENZA – E se il referendum per l’indipendenza del Veneto ha conquistato i titoli delle principali testate italiane e straniere, con i promotori lamentano un’attenzione inesistente da parte di Roma nei confronti di piccoli imprenditori schiacciati dalla crisi che vedono come unica uscita l’autodeterminarsi a casa propria sperando di riuscire ad aggredire il mercato con prodotti di qualità a basso costo senza il gravame delle tasse, esistono altre storie sottaciute di ordinaria secessione quotidiana. L’obiettivo? Staccarsi dal carrozzone Italia sfruttando la propria storia e le proprie conoscenze per affrontare le sfide del futuro, la crisi economica e la disoccupazione alla ricerca di un nuovo miracolo politico, economico e sociale.
IL RITORNO AL TERRITORIO LIBERO DI TRIESTE – Ed è quello che sta accadendo a Trieste, dove si moltiplicano coloro che chiedono il ritorno del capoluogo giuliano al periodo immediatamente post-bellico, quando la regione, contesa tra Italia e Jugoslavia, divenne di fatto un nuovo Stato, facente parte dei beneficiari del piano Marshall, chiamato Territorio Libero di Trieste. Il costituendo Stato venne previsto dagli accordi di Parigi e doveva rappresentare un’entità neutrale di 738 chilometri quadrati e 375 mila abitanti di nazionalità italiana, slovena e croata, che si estendesse dal Timaso al Quieto, in Istria. Al suo interno era diviso in due zone, la A e la B.
UN PO’ DI STORIA – La prima, comprendente Trieste e Muggia, veniva amministrata dal Governo Militare Alleato. La seconda, che includeva l’Istria, fu posta sotto l’amministrazione dell’esercito jugoslavo. Secondo il trattato di Pace imposto all’Italia l’integrità e l’indipendenza del costituendo stato sarebbe stato garantito dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Tuttavia le Nazioni Unite non diedero mai vita all’entità tanto che non venne mai nominato un governatore per il Territorio Libero di Trieste, anche a causa della rottura, avvenuta l’anno dopo, tra Tito ed il Comintern sovietico. La zona B, già di fatto amministrata dalla Jugoslavia divenne parte di quello stato ed i partigiani dalla stella Rossa cercarono il colpo grosso occupando Trieste al grido di “Trst je nas”, Trieste è nostra.
LA DIVISIONE DEL TERRITORIO LIBERO DI TRIESTE – Nel 1954 venne stilato il Memorandul di Londra che stabilì la spartizione provvisoria del TLT tra l’Italia e la Jugoslavia, spartizione che venne resa definitiva dal trattato di Osimo nel 1975. Questa storia, spesso sconosciuta nel resto d’Italia, viene riportata sugli altari della cronaca del movimento Trieste libera che di fatto non ha mai riconosciuto né il Memorandum di Londra né il trattato di Osimo. E la motivazione di questa voglia di andare via dall’Italia viene resa chiara dalle colonne di Triestelibera, dove si spiega che bisogna far fede a quanto specificato nel trattato di Pace di Parigi del 1947 che stabilisce la nascita di un nuovo Stato avulso dall’Italia e dalla Jugoslavia. Peraltro la Zona B oggi è divisa tra Slovenia e Croazia, ed è giusto ricordare che al momento della costituzione di questi due paesi Roma ha garantito il rispetto del trattato di Osimo.
COSA ACCADREBBE CON UN TLT INIDPENDENTE – Con la nascita di una Trieste indipendente, spiega Roberto Giurasante, non si avrebbe Equitalia, la benzina costerebbe meno di un euro al litro, l’Iva sarebbe bassa, non ci sarebbe un sindaco ma un governatore ed il porto darebbe lavoro a tutti. E non si tratta di utopia ma di una realtà che si può prendere per mano a partire dal trattato del 1947. Nel giugno 2013 vennero raccolte 8.000 firme con le quali veniva chiesta la nomina di un governatore da parte dell’Onu ed il ripristino dell’amministrazione civile provvisopria. E la protesta risale direttamente al 1954, ovvero alla firma del Memorandum di Londra ed al passaggio della Zona A dal Governo Militare Alleato all’Italia.
IVA AL 7 PER CENTO – L’Italia non ha attuato un’amministrazione civile provvisoria prevista da quel trattato. Per questo gli attivisti denunciano le azioni illegali compiute da Roma ai danni del TLT, riconosciuto dal trattato del 1947 come uno Stato indipendente. Per questo è scorretto parlare di secessione. Perché in reaktà si chiede l’attuazione del trattato di Pace. Nel TLT le tasse italiane non varrebbero e diventerebbe un’area de-fiscalizzata con obbligo di pagamento delle sole imposte necessarie al funzionamento dell’amministrazione locale. Il porto franco di Trieste diventerebbe il primo scalo del Mediterraneo, l’Iva sarebbe unica al 7 per cento e le tasse scenderebbero dall’attuale 50 al 20 per cento per poi attestarsi al 15.
LA QUESTIONE GIURIDICA – Prima però l’Italia dovrebbe nominare un governatore ad acta e con la costituzione del Tlt si arriverebbe al governatore nominato dall’Onu. Le lingue ufficiali sarebbero, infine, l’italiano e lo sloveno, come specificato dal trattato di Parigi. La posizione è forte e c’è anche chi è pronto ad obiettare che secondo quanto stabilito dal trattato di Osimo nel 1975, Trieste è italiana, senz’altro da aggiungere. L’Indro, a questo proposito, ha intervistato Stefano Ferluga, Presidente di Trieste Libera, secondo cui il passaggio del capoluogo giuliano all’Italia rappresenta una specie di equivoco geopolitico. Il trattato di Osimo non venne dibattuto preventivamente in Parlamento, contrariamente a quanto previsto dall’articolo 80 della Costituzione Italiana. Inoltre non è mai stato ratificato all’Onu dall’ex Jugoslavia.