Renzi, la rimozione di Mineo e le riforme istituzionali
12/06/2014 di Marco Esposito
Proviamo a raccontarla così. Proviamo ad immaginare di essere nel 2010. Silvio Berlusconi, con un atto d’imperio, ha ordinato ai suoi parlamentari di rimuovere dalla commissione affari costituzionali il senatore “Tizio” vicino a Gianfranco Fini, ultimo baluardo della democrazia, colui che ci separa dall’apocalisse democratica, l’approvazione della riforma del Senato voluta dal Cavaliere.
Probabilmente staremmo tutti con un post-it appiccicato in fronte pronti ad inviarlo a Repubblica, o pronti a scendere in piazza per salvare la “Costituzione più bella del mondo”.
Invece, come sapete meglio di me, siamo nel 2014, al governo c’è il segretario del PD Matteo Renzi, e il senatore “dissidente” appena rimosso dalla commissione affari costituzionali perché contrario all’ipotesi di riforma di Palazzo Madama del governo è “solo” Corradino Mineo.
Intendiamoci: quello che è stato fatto è perfettamente lecito da un punto di vista regolamentare. Qui si discute il piano politico. Il gesto istituzionale e le sue conseguenze.
I fatti sono chiari: i due senatori che potevano far saltare la riforma del Senato in commissione sono stati rimossi in due giorni dai rispettivi gruppi parlamentari. L’altro giorno Mario Mauro, ieri Corradino Mineo. La domanda di fondo è: giusto farlo? Oppure Renzi ha leso la libertà di mandato dei due parlamentari?
Quel che è certo è che la prova di forza di Renzi è, paradossalmente, un segno di debolezza della sua leadership all’interno del partito. La sostituzione di Mineo, infatti, conferma la difficoltà di gestione del gruppo parlamentare democratico da parte del presidente del Consiglio, e, probabilmente, acuisce i problemi con una parte di esso.
Dopo la rimozione di Mineo, infatti, i rapporti con la minoranza democratica saranno un po’ più tesi. Certo, dal punta di vista di Renzi non esiste un momento migliore per “forzare la mano”. Con l’investitura ricevuta dal voto per il Parlamento Europeo, Renzi ha il dovere di far di tutto per portare a casa i risultati che ha promesso agli italiani. E tra queste, la promessa “principe” è quella delle riforme costituzionali.
E quindi, tornando alla domanda iniziale: Renzi ha fatto bene o male a sostituire Mineo e Mauro? In realtà la forza del gesto sembra “eccessiva” per il risultato che porterà: ovvero l’approvazione in commissione del testo di riforma del Senato. Ne sarà valsa la pena, solo e soltanto se a questo gesto seguirà l’approvazione della riforma, in tempi brevi, almeno in prima lettura a Palazzo Madama. Perché se il testo dovesse poi comunque rimanere “insabbiato”, che arma dovrebbe usare Renzi per risolvere la questione? In quel caso avrebbe stressato, inutilmente, il suo stesso partito.
In parole povere, Renzi, come ha spesso fatto, rischia. Lo fa da una posizione di forza, dal 40% raccolto il 25 maggio. In verità, Renzi lo ha fatto anche quando non era così forte. Ancora una volta, se vincerà la partita, avrà avuto ragione. Altrimenti, potrebbe rimanere impantanato nelle sabbie mobili di quel bicameralismo perfetto che si è prefissato di cambiare. E in quel caso, sarebbe facile dire che la mossa di oggi è stata una mossa intelligente.
Perché, da sempre, per Renzi il metro di giudizio è uno solo, quello da lui spesso invocato: vincere, non perdere bene
Foto Mauro Scrobogna /LaPresse