Robert Seldon Lady: i segreti dell’Italia che l’agente CIA vuole raccontare
16/09/2013 di Mazzetta
Il più ricercato tra gli autori americani del sequestro di Abu Omar non sa più a che santo votarsi e ha finito per appellarsi a Napolitano.
L’ITALIAN JOB – La rendition di Abu Omar si è risolta in un disastro, un’operazione concepita malamente fin dalla scelta dell’obiettivo, che neppure il regime dell’egiziano Mubarak ha ritenuto di condannare dopo averlo a lungo torturato per estorcergli una confessione, è finita con una serie di condanne per agenti dei servizi italiani e americani e per diventare il paradigma di un fallimento, alla CIA l’hanno chiamato “the Italian job”.
IL CIRCO DEGLI SPIONI – Oltre ai protagonisti diretti il caso ha visto coinvolti anche alcuni personaggi minori, tra i quali l’ex giornalista del quotidiano Libero Renato Farina, poi ringraziato con un seggio sicuro in parlamento e ora finito a Il Giornale, condannato sei mesi di reclusione (poi commutata in sanzione pecuniaria). lo stesso Farina ha scritto su Libero il 2 luglio 2005: «Gaetano Saya e il D.S.S.A. (dipartimento studi strategici antiterrorismo) hanno fatto parte del gruppo operativo della C.I.A. che ha sequestrato Abu Omar», probabilmente nel tentativo di nobilitare l’inquietante personaggio che si atteggiava a uomo dei servizi e che millantava di essere a capo di un’organizzazione che poi si rivelerà la più classica delle patacche all’italiana, ordita da inadatti patrioti d’estrema destra.
I GOVERNI SE NE SONO LAVATI LE MANI – La vicenda è finita male anche perché i governi italiani hanno opposto il segreto di stato in giudizio e nessuno a livello governativo, in Italia come negli Stati Uniti, ha mosso un dito per sottrarre i funzionari e gli agenti coinvolti alle attenzioni dei giudici assumendosi le relative responsabilità. In più, il governo americano ha vietato ai suoi agenti di difendersi nel giudizio, che ha finto d’ignorare dall’inizio alla fine come se fosse che non riguardava gli Stati Uniti. Invece il governo Berlusconi, all’epoca in carica, ha sempicemente opposto il silenzio e lo stesso hanno fatto gli omologhi d’oltreoceano, che non hanno neppure invocato l’immunità diplomatica per i coinvolti, pur in teoria potendo, perché sarebbe stato come ammettere ufficialemnte la partecipazione al rapimento, peraltro acclarata.
QUATTRO CAPRI ESPIATORI – Dei 23 statunitensi condannnati in contumacia solo quattro sono stati identificati con le loro vere identità, almeno a dar retta a quanto è emerso in seguito e questi sono finiti davvero nei guai, perché oggi non lavorano più per la CIA e non sono altro che comuni cittadini condannati a diversi anni di carcere in Italia. Il più esposto di tutti è Robert Seldon Lady, all’epoca al consolta di Milano, che nei giorni scorsi ha inviato una lettera al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano chiedendo la grazia. Napolitano ha già graziato nell’aprile scorso un altro condannato, il colonnello Joseph Romano, l’ex comandante della base di Avianom mentre restano coinvolti pienamente Sabrina De Sousa, che ebbe funzioni d’interprete con i colleghi italiani, e Jeffrey Castelli, capocentro CIA a Roma, che alla lunga è emerso come il vero motore della vicenda, anche se la giustizia italiana ha individuato in Seldon Lady il principale responsabile.