Quanto sei stata bella Roma. E’ ora di farla tornare Capoccia.
28/10/2016 di Marco Esposito
A Roma abbiamo un problema. Ci stiamo abituando al peggio. Dal 2008 in poi – più o meno con l’arrivo di Alemanno in Campidoglio – la qualità della vita in questa città è significativamente peggiorata. Giorno dopo giorno. Abbiamo scavato, senza accorgercene, arrivando a convivere con l’inciviltà, senza neppure accorgercene, continuando a bearci del clima, di un monumento, dei colori di un tramonto della Capitale.
Non che prima Roma fosse una città perfetta, anzi. Ma quello che è avvenuto dall’avvento del peggior sindaco della storia della Capitale in poi, è senza precedenti. Quella giunta – durante la quale secondo il procuratore della Repubblica di Roma Pignatone è proliferata Mafia Capitale – si è letteralmente mangiata Roma. L’ha svenduta, vilipesa, offesa. Una generazione – quella della destra romana ex missina – che non solo ha completamente fallito il suo appuntamento con la storia – il governo di questa città – ma che da quell’esperienza non si è più ripresa.
Oggi, dopo otto anni di pessima amministrazione bipartisan (centrodestra Alemanno, centrosinistra Marino), la situazione è devastante. Roma è ormai una giungla senza regole, nella quale i romani si adattano a sopravvivere seguendo le leggi della giungla stessa: si salvi chi può, pensando solamente a se stessi. L’egoismo è diventato nella maggior parte dei casi la stella polare di una città spaventata e rinchiusa in se stessa.
In questo autunno stiamo scendendo l’ultimo gradino, stiamo scavando. La mancanza di rispetto per qualsiasi regola è diventata una sorta di dimostrazione di forza. L’aggressività la nota ricorrente del vivere quotidiano. Il menefreghismo l’anestetico di ogni forma di coscienza, di ogni dose di civiltà rimasta.
La beffa dei vigili che – dopo aver abbandonato a se stessa la città l’ultimo giorno dell’anno – l’hanno fatta franca, senza subire alcuna punizione è un vero e proprio libera tutti. Ora veramente ognuno si può sentire autorizzato a fare ciò che vuole in questa città. Perché se chi dovrebbe essere il custode delle regole se ne frega, infrangendole in maniera così manifesta – sotto gli occhi di tutti – allora anche la speranza è morta. La speranza che i cittadini – davanti a tale scempio – abbiano il rispetto che merita questa straordinaria città, non può più esistere. Si, signori dobbiamo avere il coraggio di dirlo: da oggi in questa città ognuno può fare quello che cazzo gli pare.
A Roma è semplicemente saltato tutto. Perché pagare due euro per il parcheggio se posso parcheggiare in curva senza pagare? Perché fare il biglietto in metropolitana se quello accanto a me salta i tornelli? Perché gettare la spazzatura nel cassonetto se è tutta fuori dal cassonetto? Siamo immersi nella monnezza ma al massimo facciamo una foto e la postiamo su facebook. Conviviamo con i parcheggiatori abusivi senza quasi più protestare.
Ormai è chiaro: il problema siamo anche noi. Anche noi romani. Pigri, accidiosi, alla perenne ricerca di un alibi per fare quello che ci pare. E se qualcuno ci dice qualcosa, la prima risposta è “fatte i cazzi tua”. Poi, magari dopo pochi minuti, si invertono i ruoli. Chi fino a qualche istante prima faceva il furbo, pochi minuti dopo è pronto a trasformarsi in censore di un comportamento altrui.
La prospettiva di Roma oggi, più che quella di una grande capitale europea, sembra quella di una grande città sudamericana, divisa in una parte riservata ad una ristretta élite, e sacche di vera e propria disperazione, di aggregati urbani simili alle favelas brasiliane.
Non è un futuro scritto, inevitabile. È un futuro che dobbiamo respingere. Che noi romani per primi – tutti insieme – devono allontanare.
Come? Intanto smettendo di farci i cazzi nostri. Qualcuno rimescola nei rifiuti lasciandoli per terra? Dobbiamo dirgli che deve darla finita. Qualcuno urina in mezzo alla strada? Urliamogli contro. Qualcuno getta qualcosa per terra? Diciamo ad alta voce di raccoglierla. Si, smettiamo di farci i cazzi nostri. Impicciamoci delle cose di Roma nostra. Facciamolo tutto insieme, facciamolo facendoci forza l’un con l’altro. Perché – diciamoci la verità – abbiamo paura di farlo. Ci facciamo i cazzi nostri perché abbiamo paura delle conseguenze di una rimostranza civile al nostro concittadino. Ma chi conosce bene Roma e i romani sa anche che – tra le tante qualità di questo popolo dal cuore grande – quella di “rompe li cojoni” è una delle più spiccate. Abbiamo il sacrosanto dovere di stimolare la maggioranza silenziosa dei romani, la parte sana della città, in questa “rinascita” capitolina.
Infine, ultime due osservazioni. Qualsiasi discorso riguardi Roma non può prescindere dalla sua classe dirigente. Un sistema perverso ha impedito che le migliori intelligenze di questa città si potessero mettere al servizio di Roma. Il sistema dei partiti ha costantemente premiato solo i più fedeli (e i meno capaci, quelli che non rappresentavano un pericolo per nessuno), con i leader, capi e capetti, pronti a bastonare chiunque mostrasse un briciolo di autonomia. Vi riporto qui le parole che – in maniera piuttosto onesta – Roberto Giachetti mi disse in una recente intervista: «Volenti o nolenti abbiamo fatto muro e scudo alla nascita di una classe dirigente e ci ha fatto più comodo che ne crescesse una più fragile e meno strutturata, pensando che sarebbe stata più facilmente controllabile». Ecco, senza una nuova classe dirigente, competente, pronta al sacrificio e a far squadra, difficilmente Roma supererà i suoi problemi.
La seconda è un’ulteriore presa di coscienza. Forse la più difficile per noi romani. Per noi sfegatati ultrà di questa città. Fuori dal raccordo anulare non ci amano, o non ci sappiamo far amare, dipende dai punti di vista. Ma ora dobbiamo fare uno sforzo: tapparci le orecchie. Non sentire e non rispondere alle critiche, alle provocazioni e alle frecciatine. Ignoriamo chi vuol servirsi di Roma per farsi pubblicità o per cavalcare il consenso politico. Pensiamo a Roma. Concentriamo gli sforzi per risanare la città. Prendiamocela con chi mette nei guai Roma tra nelle nostre mura. Troviamo le eccellenze capitali, raccontiamole. Piano piano invertiremo la narrazione di questa città. Sarà un lavoro lungo, ma che non si può rimandare. E le istituzioni dovranno fare la loro parte. Ad iniziare dal Sindaco Virginia Raggi, e continuando con il Presidente del Consiglio Matteo Renzi. Chi pensa che Roma possa essere trasformata nel campo di battaglia tra due partiti politici sbaglia di grosso.