Scambio di embrioni: lo sfogo del padre biologico
18/04/2014 di Redazione
Sei vittime per una distrazione, uno scambio di embrioni senza precedenti. «Io e mia moglie, la coppia che sta portando avanti la gravidanza, e quei due bambini che nasceranno. Non so cosa sia successo. Terribile, una situazione che non auguro a nessuno di provare». Così il padre biologico dei due gemelli si è sfogato nel corso di un’intervista con “La Repubblica”, dopo la conferma arrivata dai test genetici dell’errore durante il trattamento di fecondazione assistita, avvenuto il 4 dicembre scorso all’ospedale Sandro Pertini di Roma.
LO SCAMBIO DI EMBRIONI E LO SFOGO DEL PADRE BIOLOGICO – «Un errore, una svista di qualcuno, una distrazione, non lo so cosa possa essere accaduto. Ma ha avuto come risultato di provocare sei vittime», ha spiegato. Definendo quanto avvenuto come «una storia troppo più grande» di lui e di sua moglie: «Siamo sconvolti, disorientati, spaventati». Sul futuro dei figli resta il rischio reale di una contesa tra coppie di genitori. Sulla possibilità di un ricorso, per ora, il padre biologico ha preso tempo: «Non lo so, ancora non abbiamo sentito l’avvocato, perché la Commissione del Pertini ci ha comunicato l’errore solo mercoledì sera. Dopo quella telefonata ci è crollato il mondo addosso, non immaginavamo di essere noi la coppia su cui si erano sbagliati», ha continuato, per poi invitare i media a rispettare la loro privacy. Su Repubblica è stato raccontato anche il “mea culpa” della biologa che ha impiantato nella donna che adesso aspetta i due gemelli gli embrioni dell’altra. Una professionista considerata tra le migliori da Emilio Pittarelli, nuovo responsabile del reparto:
«Sono disperata. Non faccio che pensare a quello che è accaduto. Ora posso capire cosa prova un chirurgo che ha un attimo di defaillance, quando sbaglia e il paziente non ce la fa». Distrutta, affranta, non dorme, quasi non vive più: la biologa del Pertini che ha impiantato in una donna gli embrioni di un’altra coppia ricostruisce mentalmente quanto accaduto quel giorno, il 6 dicembre 2013. L’iter di quel maledetto errore è stato ricostruito nello stesso centro di procreazione medicalmente assistita dell’ospedale romano: lei stessa si è rimessa a studiare ogni passaggio sotto la supervisione del nuovo responsabile del reparto, Emilio Pittarelli. Insieme sono arrivati a capire il momento esatto in cui è avvenuto lo scambio. Quando si è resa conto di cos’era successo, al suo fianco c’era anche il direttore della Asl Roma B, Vitaliano De Salazar. «Adesso ho capito cosa ho fatto – ha esclamato – proprio io ho procurato un danno così grande alle donne che voglio rendere felici», si legge sul quotidiano diretto da Ezio Mauro.
Secondo le ricostruzioni, l’errore sarebbe stato causato dalla quasi omonimia nei cognomi delle due donne: l’iniziale e 5 lettere identiche su 7. Così gli embrioni hanno attecchito nella donna sbagliata, mentre l’altra coppia non è riuscita a portare avanti la gravidanza. Intanto il Pertini adesso, dopo la sollecitazione del ministero e della Regione, si doterà di un sistema automatizzato per il riconoscimento delle provette, proprio come avviene alla clinica di Valle Giulia (l’unica in Italia a possedere uno strumento simile). Sul dibattito è intervenuta anche la ministra Beatrice Lorenzin: «Se fosse capitato a me e fossi stata la mamma che aveva in grembo questi gemellini, li avrei sentiti come miei a prescindere. Perché è sempre un figlio che ti cresce dentro ed è un’esperienza unica. E se fossi stata l’altra mamma sarei stata disperata. C’è da parte mia una completa comprensione umana per entrambe queste coppie e per le madri. L’unica soluzione ora è un atto di generosità e d’amore da parte di entrambe per il bene di questi bambini», ha spiegato la titolare del dicastero della Salute, intervistata da Radio24.
IL DIBATTITO TRA GIURISTI – Tutto mentre continua il dibattito tra giuristi ed esperti sul caso, in base alle interpretazioni delle normative vigenti nel nostro Paese. Con un’intervista al Messaggero, è stato Cesare Mirabelli, ex presidente della Consulta, a spiegare come, in base «in base a quanto previsto dal codice civile, i figli sono della donna che li ha partoriti e del di lei marito o compagno». Ma non solo: «Anche la legge 40, nel prevedere l’irrinunciabilità della maternità e della paternità della coppia che dà il proprio consenso alla fecondazione assistita, porta tutto ciò alle estreme conseguenze». Secondo Mirabelli, «Il padre genetico è l’unico che in sede civile potrà agire per affermare che il genitore è lui ma stabilire la prevalenza tra i due interessi, uno della genitorialità genetica e l’altro della genitorialità di gestazione, che in questo caso si trovano contrapposti, è un compito che spetta al legislatore». Resta il nodo principale, quello legato al fatto «non si può considerare il nascituro come oggetto di rivendicazione». Per questo Mirabelli ha auspicato un nuovo intervento normativo, che «preveda un ripensamento complessivo e uno statuto dell’embrione e del nascituro». Non però da realizzare «sull’onda dell’emozione o sulla base di singoli casi». Il motivo? «Si rischia un andamento pendolare che porta a una disciplina in un senso o nel suo esatto contrario», ha concluso. Per Vincenzo Zencovich, ordinario di Diritto comparato all’università di Roma Tre e legale dell’ospedale Pertini, invece, i due bambini non sono figli della madre gestante. Questo perché, secondo il docente, «manca il presupposto del consenso all’impianto di embrioni non propri». Ha spiegato al Corriere della Sera: «La legge è chiara laddove si parla di stato giuridico del nato, la parte che non è stata dichiarata incostituzionale dall’ultima sentenza della Consulta». Per poi chiarire il suo punto di vista: «I nati della procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli legittimi della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche e che ha dato il consenso per ricevere attraverso l’impianto i propri embrioni». Secondo Zencovich, «le norme aprono la strada al disconoscimento perché esiste la prova che attesta l’impiego, per l’impianto, di materiale genetico estraneo». Tanto da concludere: «Il parto è apparenza. La genetica è verità. E la verità è che quei figli non sono stati concepiti dalla donna che li partorisce», ha concluso Zencovich.