Obama, Putin e il futuro della Siria

30/09/2015 di Mazzetta

Il Gran Mufti siriano Ahmad Badreddin Hassoun incontra Gerard Bapt, parlamentare del Gruppo per l'Amicizia Franco-Siriana, favorevole ad Assad   (Photo credit should read LOUAI BESHARA/AFP/Getty Images)
Il Gran Mufti siriano Ahmad Badreddin Hassoun incontra Gerard Bapt, parlamentare del Gruppo per l’Amicizia Franco-Siriana, favorevole ad Assad (Photo credit should read LOUAI BESHARA/AFP/Getty Images)

LA TRANSIZIONE CON ASSAD –

Il punto d’incontro tra Obama e Putin, che hanno mantenuto formalmente inalterate le proprie posizioni, si rintraccia nelle pieghe del discorso di Obama e nelle dichiarazioni di alcuni ufficiali americani e britannici in particolare. Il fronte occidentale allineato a Washington continua a considerare impossibile la permanenza al potere di Assad, ma ritiene praticabile un’ipotesi nella quale Assad sia coinvolto in una graduale transizione del potere a un sistema più inclusivo e democratico, nel quale non farà il dittatore. Il modello è quello della transizione in stile yemenita, anche se il dopo-Saleh non è esattamente una storia di successo. Yemen e Siria sono però diversi e diverse sono le condizioni dei due paesi, che hanno in comune solo la tendenza a ridursi in rovina. La «managed transition» ipotizzata da Obama insieme alla disponibilità a collaborare con chiunque, incluse esplicitamente Russia e Iran, non si può certo fare con l’ISIS tra i piedi e quindi viene facile ipotizzare che lo schema proposto da Putin vedrà la collaborazione americana, con Washington a sostenere i curdi e Mosca ad affiancare le forse di Assad fino a che in mezzo non rimarranno solo cadaveri o ribelli disposti ad affidarsi alla «managed transition». I curdi infatti sono considerati un fattore stabilizzante e anti-ISIS anche da Putin e non avrebbero, almeno in teoria, difficoltà a trattare con Assad un’autonomia come quella ottenuta in Turchia attraverso le trattative con Erdogan, che poi ha fatto precipitare l’accordo per motivi di politica interna e che ora potrebbe essere ricondotto alla ragion di stato, se non alla ragione tout court, dalle pressioni parallele di Mosca e Washington.

CHI HA PERSO DI SICURO –

La velocità e l’efficacia della futura transizione saranno messe alla prova in futuro, intanto quello che si vedrà è un aumento dell’efficacia delle truppe di Assad assistite dai russi, che coordineranno gli attacchi aerei con quelli dei siriani a terra. Quello che si spera è in un parallelo miglioramento dell’efficienza di quelle irachene, che nonostante l’assistenza e le armi fornite da americani e iraniani continuano a fornire prestazioni imbarazzanti. Ora arriveranno armi anche dalla Russia, perché schiacciare l’ISIS in Siria è molto più difficile se le si lascia la retrovia irachena e la possibilità di muoversi a cavallo del confine. Assad resta il tiranno che ha risposto sanguinario alla primavera siriana, ma l’America di Obama ammette implicitamente che la sua strategia in Siria ha fallito e che hanno fallito anche quelle dei paesi del Golfo, su tutti Qatar ed Arabia Saudita, alla quale Obama aveva affidato la gestione per procura della ribellione siriana, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Proprio l’Arabia Saudita sembra la grande umiliata da questo passaggio tutto sommato storico, dopo aver visto i sui diplomatici andare a Mosca in inutili pellegrinaggi portando offerte meravigliose, il regno si è visto escludere dai prossimi colloqui sul futuro del paese, che includeranno l’Egitto, la Turchia e l’Iran, ma non i paesi del Golfo e nemmeno l’Europa, che sul fronte della crisi siriana si è segnalata per la sua latitanza.

TORNA IL BIPOLARISMO RUSSO-AMERICANO? –

Americani e russi tutti insieme appassionatamente, Washington perché non si può tollerare l’esistenza di un «culto» tanto distruttivo e Putin perché dice che ci sono 2.000 combattenti arrivati dalla Russia in Siria e preferisce distruggerli là prima che tornino a casa. Il genere di affermazioni adorate dai suoi fan in patria e anche fuori, dove esiste un robusto fan club che spazia dall’estrema destra agli altro-imperialisti, che apprezzano moltissimo la brutale efficacia del suo esercito, che alle armi intelligenti preferisce il fare tabula rasa. La svolta imposta dalla Russia è notevole non solo per il cambiamento di prospettiva che impone alla Siria e ai siriani, ma anche perché si è consumata pubblicamente, con i leader dei due paesi che si sono parlati dalla tribuna dell’Assemblea Generale dell’ONU, nella quale Putin ha dichiarato la fine dell’era dell’unica superpotenza mondiale e dell’idea che gli Stati Uniti possano in qualche modo assumere il ruolo di poliziotto del mondo. I fatti hanno dimostrato che la superiorità militare e i soldi non bastano nemmeno a rimettere insieme un piccolo paese come Haiti e che a Washington non sono stati capaci di rimettere in piedi l’Afghanistan e l’Iraq, ma nemmeno la Somalia e neppure il Sud Sudan, un paese che nasceva da zero e che sotto la cura e la tutela di americani e alleati è riuscito a sprofondare sottozero e ora è impegnato in una guerra civile più sanguinosa di quella combattuta per ottenere l’indipendenza dal Sudan. La coalizione antiterrorismo proposta da Putin è la negazione di quel ruolo e il presidente russo non ha mancato di parlarne esplicitamente in Assemblea, dichiarando decaduto quel modello e irrealistiche quelle aspirazioni. Solo il tempo dirà se stiamo davvero assistendo a una transizione storica da un modello di governance globale a trazione americana a uno realmente multipolare. O se invece la storia non sia avviata a riproporre il bipolarismo russo-americano già visto durante la guerra fredda. Quello che sembra certo è invece un nuovo ciclo di guerra in Siria e in Iraq, probabilmente più violento e devastante per le già malconce infrastrutture dei due paesi, se non per i siriani che in gran numero hanno già votato per un’altra soluzione e si sono messi in salvo all’estero. Per loro ormai la Siria è un ricordo e per molti di loro lo resterà per sempre.

 

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