Srebrenica: 20 anni fa l’orrore, 8.000 morti per un genocidio dettato dalla pulizia etnica
11/07/2015 di Boris Sollazzo
Srebrenica è l’orrore. Ma anche l’errore, dell’Onu, che quando sembrava averla salvata, mettendoci il cappello, ha saputo ignorarla, guardandola morire sotto il peso di fosse comuni che hanno accolto più di 8000 persone. Trucidate con follia nazista dagli uomini di Mladic, con il permesso e il consenso di Karadzic (benedetti dall’amministrazione Clinton come “affidabili”), con quell’Europa che nel giardino di casa aveva una guerra infame e violentissima, ma preferiva girare lo sguardo dall’altra parte. Pochi eroi hanno riportato quella verità a galla, facendola emergere dalle testimonianze dei sopravvissuti – in un bellissimo speciale di RadioRai uno di loro ha detto “non possiamo riportare in vita i morti, ma possiamo render giustizia ai superstiti” -, da una certosina e dolorosissima ricerca dei cadaveri. Già, perché ruspe e soldati allora pensarono bene di sezionare i corpi per seppellire i vari pezzi in diverse fosse, così da rendere il genocidio difficilmente dimostrabile. “Due braccia, non fanno una vittima”, disse un ufficiale serbo-bosniaco, a un giornalista incredulo.
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Qui in Italia, se sappiamo qualcosa della guerra nell’ex Jugoslavia, lo dobbiamo ad Andrea Purgatori. Ma se sappiamo tutto di Srebrenica, quell’area decretata dall’Onu come “safe heaven” (paradiso sicuro, che beffa), come zona protetta, lo dobbiamo ad Antonello Piroso. Che dedicò uno dei suoi splendidi monologhi, a La7, proprio a quel terribile 11 luglio. Ricordando che i musulmani bosniaci erano finiti lì, perché convinti di trovare riparo dalle violenze che subivano altrove, dagli stupri etnici alle uccisioni sommarie. A causa dell’Onu e della sua negligenza, del disinteresse di Usa, Francia e Inghilterra, invece, si raccolsero per farsi uccidere meglio da un esercito infame e violentissimo, deciso a seguire un progetto di sterminio e di imperialismo molto vicino al nazismo. Perché, non possiamo far finta di niente, Srebrenica è l’Auschwitz dei tempi moderni.
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Ottomilatrecentosettantadue. Piroso, quattro anni fa, pensò bene di metterla nel titolo quella cifra. Uscita fuori dopo che un’istituzione giuridica europea, un magistrato cocciuto (Carla Del Ponte, che non andò alle “commemorazioni perché finche Mladic e i suoi non saranno portati davanti alla Corte e pagheranno, anche io sarò colpevole” e che poi lottò per non far entrare in Europa i paesi che non collaboravano per scoprire i propri crimini di guerra), un grande investigatore (il francese Jacques Calvez, raccontato anche nel bel film di Giacomo Battiato Resolution 819 che vinse il Festival di Roma) e uno staff eroico, ricomposero cadaveri per anni. Anni. Un puzzle terribile, solo per trovare colpe, colpevoli e condanne. Per restituire la verità, seppellita per decenni con quei resti martoriati da media distratti, storici superficiali, politici vigliacchi. Piroso, in Italia, costrinse tutti a ricordarsi di ciò che anche noi italiani non sapemmo fermare (anche se qualche singolo eroe ci provò, pagando con la vita: pensiamo a Langer, morto suicida una settimana prima, oppresso dall’orrore che non riusciva a fermare e angosciato da quello che stava vedendo arrivare).
I serbi sostengono che quella di Srebrenica fu la vendetta per i più di 3000 morti del biennio ’92-’93 nei municipi di Srebrenica e Bratunac dagli uomini di Naser Oric, generale dell’armata bosniaca ferocissimo. Altri parlano di crescita esponenziale della violenza sistematica di chi voleva una grande Serbia. E pura.
L’orrore vero è che al centro di tutto c’erano militari serbo-bosniaci, figli, fratelli e amici di carnefici e vittime, incapaci di capire l’insensatezza delle loro follie, di quell’olocausto slavo, in nome di religioni e origini.
Srebrenica, da tre anni era un campo di concentramento accerchiato. Dentro i musulmani bosniaci, fuori i serbi. L’11 luglio 1995 – ricordate dov’eravate? Cosa facevate? No, già, quello è solo per date come l’11 settembre, ben pubblicizzate – entrarono nell’enclave, si presero tutti i maschi validi, scelsero chi uccidere e chi salvare solo per torturare in ogni modo (cannibalismo, evirazione, ingestione di oli combustibili, oltre a stupri collettivi, umiliazioni fisiche di ogni genere, elettrificazione di organi sessuali) o per scavare. Due file, i più sfortunati venivano presi a randellate fino alla morte, ma se l’ufficiale seviziatore era in forma, ecco anche un’ascia nella schiena. Molti furono i “fortunati” che finirono davanti a un plotone d’esecuzione: uccidere migliaia di persone costa tempo, e alla fine della prima giornata ne rimanevano troppi. Dovettero recuperare nella notte con le pallottole. Erano pigri, oltre che bestiali.
Durò giorni quel genocidio. Sapete come evacuarono la zona i soldati di Mladic? Con benzina e fuoco. Ci vollero 30.000 litri di benzina. Gentilmente concessi dai caschi blu dell’Onu. Pacifisti, soldati delle nazioni unite indignati, giornalisti (ricordate Roy Gutman? No, ovviamente) lo dissero per giorni. Nessuno intervenne, se non in soccorso del carnefice. Di quegli 8.372, 1.200 non sono stati trovati o ricomposti abbastanza da essere riconosciuti.
E l’Onu che cos’ha fatto? Per anni non è riuscita nemmeno a etichettarlo come genocidio. Per il veto della Russia, storica alleata dei Serbi. Ci riuscì solo nell’estate di 14 anni fa. Il 2 agosto 2001 il Tribunale penale internazionale dell’Aia, ha parlato per la prima volta di genocidio, e il giudizio fu confermato in appello il 19 aprile 2004, per l’evidente «intenzione» che ha guidato la «pulizia etnica»: quella di «distruggere almeno una parte sostanziale di un gruppo protetto». E spesso, a uccidere fu il vicino di casa, l’ex commilitone, un compagno di scuola o un socio in affari. Questa era la Jugoslavia, che dopo Tito implose a lungo, fino a esplodere nella follia sanguinaria di quegli anni.
Non basterebbero enciclopedie a raccontare Srebrenica e vale la pena ascoltare, guardare Piroso riportarla alla nostra mente. Quei 96 minuti sono semplicemente perfetti.
Però ricordiamo un paio di cose, due beffe difficili da ingoiare. Srebrenica, ora, fa parte del paese che l’ha violentata con tutto quel sangue, quelle atrocità. Sì, le vittime, quelle vive e quelle morte, ora hanno gli stessi passaporti, gli stessi governanti, le stesse feste comandate dei carnefici. Proprio quello che fu deciso poco prima del genocidio, per giustificarlo.
E poi, noi che seminiamo odio dai giornali, dai comizi, dalle tv, ricordiamo che quella fu una strage di cristiani contro musulmani. Quando ci chiediamo da dove venga l’odio che ora rischia di spazzarci via, domandiamoci quando (e quanto) l’abbiamo seminato.