Energie per l’Italia: la Leopolda di Parisi che non convince nessuno
17/09/2016 di Marco Esposito
Senza passione, senza una proposta politica precisa, ma soprattutto senza anima. Non convince e non trascina la kermesse di Stefano Parisi che si è svolta venerdì 16 e sabato 17 settembre al Megawatt di Milano.
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Nella più sbiadita delle periferie milanesi, in uno spazio post industriale non proprio confortevole, il centrodestra italiano, diviso e frastagliato, prova a ritrovare un popolo, una «comunità» come ama dire quello che dai giornali è stato ribattezzato «mister Chili».
Energie per l’Italia avrà la capacità di fare tutto questo? Per quel che abbiamo visto in questa due giorni in cui la grande assente è stata la politica, diremmo proprio di no.
Eppure Parisi, in teoria, avrebbe tutti i motivi del mondo per essere felice. La platea era piena, gli interventi di valore, c’era tanta stampa e tanta voglia di “costruire” una destra, oggi grande assente del dibattito pubblico italiano. Ovviamente parliamo di una destra diversa, popolare e liberale, non certo di quella “populista” di Salvini. Una destra di cui il paese avrebbe un drammatico bisogno, ma la cui nascita sembra sempre più un’utopia.
Eppure, in mezzo a tanta perfezione apparente, i motivi che realmente dovrebbero spingere Parisi ad un sano ottimismo, sono pochi. E il motivo è semplice: il movimento che abbiamo visto nascere a Miliano, non sembra avere la forza per cambiare gli equilibri politici italiani, nemmeno nel centrodestra. Potenzialmente potrebbe farlo, ma ad oggi il progetto, che sta nascendo sotto i nostri occhi, è ricco di contraddizioni e di limiti. E’ vero, il nostro potrebbe sembrare un giudizio affrettato, visto che l’operazione Parisi è appena partita, ma le scelte difficili, i nodi da scogliere non sono stati nemmeno sfiorati da Mister Chili.
ENERGIE PER L’ITALIA UNA LEOPOLDA DI DESTRA?
Ad un primo impatto la due giorni di Stefano Parisi ricorda la Leopolda renziana. Sia da un punto di vista estetico, sia da un punto di vista del format. Tanti interventi, nessun politico sul palco, un conduttore, un grande spazio con tanti schermi. Ma manca un ingrediente fondamentale dell’ascesa renziana: la rottamazione. Nessuna nuova destra può nascere se non sulle ceneri della precedente. Lo diciamo chiaro e tondo: o Stefano Parisi fa il rottamatore di centrodestra, o non sarà il leader di nessun centrodestra. In una parola: manca il conflitto. Di più: manca la politica.
Alcune presenze a Milano sono in netto contrasto con l’idea di far ripartire la destra in Italia. Non può costruirsi niente di nuovo con Formigoni, Scajola, Sacconi e compagnia bella in platea. Non basta non farli salire sul palco. Serve attaccarli, magari con loro in prima fila. La cesura rispetto al passato del centrodestra deve essere netta e chiara. Ed è questo il primo mattone che Parisi, il cui intervento dovrà mettere alla base della sua costruizione
ENERGIE PER L’ITALIA: L’INTERVENTO DI STEFANO PARISI
Il discorso finale di Stefano Parisi è stato un discorso di buon senso, che ha richiamato alcuni dei totem della rivoluzione Berlusconiana del 1994 (citata da Parisi stesso sul Palco): il taglio delle tasse e della spesa, meno stato, libertà d’impresa. Duri gli attacchi contro Matteo Renzi (particolarmente virulento quello contro Antonella Manzione, a capo dell’Ufficio Legislativo di Palazzo Chigi «Non si mette una vigile in un ruolo del genere»), alla ricerca di un bipolarismo centrodestra Vs centrosinistra, da molti sognato, ma che ora non pare più d’attualità. Ma al discorso di Parisi sono mancati due ingredienti politici fondamentali.
Il primo e più importante: il coraggio. Parisi non ha detto una parola di critica sull’attuale centrodestra. Non un parola di critica aperta, circostanziata. Un discorso istituzionale senza un affondo che sia uno. Non una riflessione sugli errori compiuti in questi anni, non una parola sulla deriva lepenista di una parte di centro destra, non un appunto a questi mesi di opposizione sterile e senza proposte. Anzi, Parisi perde la possibilità di posizionarsi in maniera diversa sul referendum. Punta sul No alla riforma costituzionale, allineandosi al capo, ma perdendo la possibilità di conquistare la fiducia di quel vasto pezzo di popolo di centrodestra che è tentato di votare Si alla riforma Boschi. Altrettanto deludente e benaltrista il passaggio sull’immigrazione. Parole di buon senso, senza un posizionamento politico riconoscibile; la paura della reazione di Salvini è troppo forte. E infine, l’incredibile passaggio sui valori della sua nuova “cosa”. Per Parisi non c’è bisogno di una carte dei valori “perché vanno bene tutti i valori“. Un vero e proprio tentativo di annichilire il concetto stesso di politica.
E qui veniamo alla seconda grande assente, di tutta la kermesse in generale, ma del discorso di Parisi in particolare: la politica. Dopo due mezze giornate passate al Megawatt non abbiamo capito cosa stia costruendo Parisi e soprattutto cosa voglia costruire. Abbiamo visto tutto e il contrario di tutto. A volte si è avuta la sensazione che Parisi stesse dando il via ad un centro studi più che ad un movimento politico. Slide, professori, approfondimenti, proposte vaghe. Come vaga è stata tutta la costruzione di questi due giorni: senza un’anima, senza quella “amalgama” che il mitico presidente del Catania Massimino voleva comprare per far rendere al meglio la sua squadra. Un progetto bloccato, forse, anche per il silenzio cupo e rumoroso di Silvio Berlusconi. Due giorni ad attendere un cenno, una parola, una dichiarazione, che non è mai arrivata.
LA GOLDEN SHARE DI SILVIO BERLUSCONI
L’impressione è che Parisi più che non voler rompere, non possa rompere con il centrodestra che è stato, con i big di Forza Italia. Insomma, l’ex candidato sindaco di Milano per il centrodestra sembra già prigioniero di Silvio Berlusconi, con il quale non si può permettere di rompere in questo momento in cui la sua “creatura” è ancora in culla. Storicamente Berlusconi ha sempre avuto la forza di sapere tenere tutte insieme le varie anime di centrodestra. E la sensazione è che anche oggi l’ex Cavaliere non voglia rinunciare a questo potere.
PARISI E IL FATTORE TEMPO
La via di Parisi quindi appare strettissima. Tenere saldo il rapporto con Berlusconi, evitando di entrare in netta rotta di collisione con i colonnelli di Forza Italia, e far crescere più velocemente possibile la sua creatura. Talmente in fretta da farla diventare una realtà indispensabile in poche settimane. Visto che sulla politica italiana si sta per abbattere l’Armageddon: il referendum costituzionale. Al quale Parisi oppone un fermissimo No, ma che forse, sotto sotto, per dare il giusto tempo di crescita alla nuova “cosa” di centrodestra, preferirebbe che si imponesse il tanto osteggiato Si.