Il Sud Sudan, lo strano caso di stato abortito

11/03/2015 di Mazzetta

Riek Machar
Riek Machar

LA GUERRA CIVILE IN SUD SUDAN – L’azione è andata male e dopo una serie di bizze, tra le quali l’astuto blocco delle esportazioni del petrolio per più di un anno, Kiir ha trovato un accordo con Bashir e tutto è finito lì, con quelli del Kordofan che sono rimasti con il cerino in mano e i soldati di Khartum che li braccano. Una gestione disastrosa non poteva portare che malumori, per tacitare i quali Kiir è passato alle maniere forti contro l’embrione di stampa sud sudanese. L’atmosfera si è fatta pessima e da Juba se ne sono andati di corsa i sudanesi della diaspora, che erano ritornati dall’estero sperando di contribuire alla nascita del paese. Paese che è stato colpito anche da severe crisi alimentari, che hanno scatenato conflitti sanguinosissimi tra agricoltori e allevatori, tra tribù vicine e infine tra i militari, conflitti che hanno aperto crepe anche all’interno del partito unico, incapace di provvedere ai bisogni elementari dello stato e persino di tenere in riga i propri elementi, visto che tra i protagonisti delle violenze c’erano gli uomini che hanno combattuto contro il Nord, questa volta gli uni contro gli altri.

LA RESA DEI CONTI – Si arriva così alla fine del 2013, quando Salva Kiir millanta un golpe e scatena la repressione contro la fazione guidata da Riek Machar, suo vicepresidente, accendendo  un nuovo conflitto, questa volta tutto interno al Sud Sudan, al Sudan People’s Liberation Army (SPLA) e al partito unico che ne è espressione, il Sudan Peoples’ Liberation Movement (SPLM). Tra Kiir e Machar corrono vecchie ruggini che risalgono al 1991, quando la fazione di Machar si ritirò dalla guerra contro il Nord mandando quasi alla rovina lo SPLA e sembra evidente che non riescano a raggiungere una ricomposizione nonostante tutti i rappresentanti dei paesi vicini e lontani stiano esortandoli a farlo.

UN DISASTRO CHE HA SCONTENTATO TUTTI – In poco più di un anno di guerra civile nel paese si sono accumulate decine di migliaia di vittime, intere località devastate, centinaia di migliaia di profughi e almeno 3 milioni di persone che rischiano la morte per fame, ma i due contendenti che un paio di giorni fa erano ad Addis Abeba a subire la paternale di primo ministro etiope Hailemariam Desalegn e le minacce di sanzioni da parte di ONU e Stati Uniti, che hanno rimediato una terrificante figuraccia agli occhi di tutti gli africani, visto che ora a rimediare è stato chiamato un contingente multinazionale alimentato dall’Unione Africana, dall’Uganda schierata abbastanza evidentemente con Kiir e persino dalla Cina, che ha mandato 700 uomini con l’ONU a proteggere i profughi accampati attorno alle dipendenze delle Nazioni Unite e dei contingenti stranieri. Nel paese ci sono anche un centinaio di soldati americani, ma stanno dando la caccia all’ugandese Joseph Kony nelle foreste e non s’immischiano. Il satellite di Clooney non è servito a documentare i crimini sudanesi ed è stato un po’ dimenticato, anche se dovrebbe essere sempre là a fotografare questa volta le tracce dei massacri della guerra civile nel Sud, Angelina Jolie ha fatto carriera ed è passata da Goodwill Ambassador a Special Envoy dell’ UN High Commissioner for Refugees (UNHCR). Alla fine della storia, Bashir e Deby sono ancora inamovibili dittatori mentre Kiir e Machar si stanno giocando il titolo in Sud Sudan, solo il povero Bozizé, pupazzo franco-ciadiano che faceva il dittatore della Repubblica Centrafricana, ha perso il posto e ora s’aggira per Parigi in cerca d’udienza.

UN DISASTRO SENZA SBOCCHI APPARENTI – A tutti gli altri è andata peggio, soprattutto ai sud-sudanesi. Si capisce quindi il senso di un clamoroso rapporto dell’Unione Africana che, anche prima del fallimento dei colloqui in Etiopia, suggerisce d’impedire ai due leader in lotta di prender parte al periodo di transizione che necessariamente dovrà precedere il ritorno alla normalità, visto che i due non si accontentano di essere presidente e vicepresidente, la soluzione prospettata dall’UA e dalla commissione d’inchiesta guidata dall’ex presidente nigeriano Olusegun Obasanjo parte dal presupposto che i due siano d’ostacolo alla pace nel paese e prevede che nessuno di quanti sono stati al potere fino al 2013 possa assumere cariche e responsabilità e che il governo del paese sia affidato alla stessa Unione Africana per tutto il periodo di transizione. Il rapporto contiene anche una severa critica a Stati Uniti, Norvegia, Gran Bretagna e IGAD (Intergovernmental Authority on Development), che accusa di aver appoggiato, dopo gli accordi del 2005, la costituzione di un potere armato senza contrasti e contrappesi.

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