Le strazianti telefonate dal barcone che affondava senza essere soccorso. Nel naufragio 268 morti
09/05/2017 di Redazione
Il pomeriggio dell’11 ottobre 2013, la nave Libra della Marina Militare venne lasciata 5 ore in attesa di ordini mentre si trovava nel Mediterraneo ad appena un’ora e mezza da un barcone partito dalla Libia che stava affondando (con a bordo almeno 480 profughi siriani). I comandi militari italiani erano preoccupati di dover trasportare i profughi sulla costa più vicina. Così non misero a disposizione i loro mezzi, nonostante le richieste di aiuto dall’imbarcazione e la richiesta delle Forze armate di Malta di dare istruzioni alla nave italiana per l’intervento.
TELEFONATE DAL BARCONE
È quanto testimoniato da alcune strazianti telefonate pubblicate in esclusiva dall’Espresso (inchiesta di Fabrizio Gatti). Nelle conversazioni un medico a bordo del peschereccio, il dottor Mohanad Jammo, chiede aiuto alla sala operativa della Guardia Costiera di intervenire. «Per favore, fate in fretta. L’acqua sta entrando. Ci muovono le onde. È una vera emergenza. La barca sta andando giù», è l’allarme lanciato alle 12.39. «Ti ho dato il numero di Malta perché voi siete vicino Malta. Chiama Malta rapidamente e loro sono lì», è la risposta che gli viene fornita in una successiva chiamata delle 13.19. In realtà erano i nostri mezzi a dover intervenire perché il barcone era più vicino alle nostre coste: a circa 61 miglia a Sud di Lampedusa e a 118 miglia dalle coste di Malta. La nave Libra si trovava tra le 19 e le 10 miglia.
Il peschereccio, poco dopo la partenza, era stato colpito da una motovedetta con raffiche di mitra da miliziani che volevano rapinare o sequestrare i passeggeri. Il naufragio causò la morte di 268 persone, di cui 60 bambini. Il dottor Jammo risuscì a salvarsi, con la moglie e la figlia di 5 anni. Ma altri figli, di 6 anni e 9 mesi, rimasero in fondo al mare.
(Immagine da video de L’Espresso)