A Tor Sapienza ho avuto paura

“A Tor Sapienza le persone hanno paura. Io ho paura, sì, con tutta la buona volontà, anche io ho paura”, ci dice Francesca, la nostra guida per il quartiere. La tensione è alta nella borgata della periferia orientale di Roma, al centro delle cronache nelle ultime settimane. La si percepisce dai discorsi delle persone, dal ritmo dei movimenti, dalla frenesia degli sguardi dei cittadini. Nella zona, è chiaro, non si parla d’altro: le aggressioni ai residenti, il problema degli immigrati, il centro di accoglienza, il campo nomadi. Di come la vita quotidiana sia cambiata da qualche mese a questa parte.

TOR SAPIENZA, ROMA È PIÚ CATTIVA – Che Roma stia cambiando, è evidente; anche per chi ci è nato e cresciuto, e ha sempre voluto intravedere quella pigrizia bonaria che resiste a tutte le difficoltà quotidiane. La città è più cattiva. Qualcosa sta crescendo, nelle zone più periferiche: rabbia, malcontento, esasperazione. E razzismo, intolleranza, ostilità al diverso; e quel che fa più paura è che anche i cittadini che più si sforzano di mantenere la calma e la lucidità, guardandosi dentro, non riescono a non fare i conti con una situazione che, sì, anche a loro spaventa. “Vedi, Tor Sapienza è come un paese. Qui tutti sanno tutto di tutti; ti faccio un esempio, io sono andata in Erasmus. Quando sono tornata c’erano persone mai viste che mi fermavano per strada e mi dicevano: ‘Oh, come è andata all’estero?’. E io no, pensavo, ma chi ti conosce?”. Francesca – nome di fantasia – ha 25 anni, studia, lavora e fa la volontaria presso la Parrocchia di Tor Sapienza. “Io ci sono cresciuta, è il mio quartiere. Ma vivere qui, per certi versi è sempre stato un problema, mi ci sento stretta. Prendi i trasporti: spostarsi da qui senza l’automobile è impossibile. E infatti i ragazzi fino a che non hanno la macchina non si muovono, fanno al massimo comunella in parrocchia. Non c’è un pub, non c’è una palestra, non c’è un cinema”, ci dice: “Siamo abbandonati a noi stessi? Beh, sì, un po’. Polizia, Carabinieri, chi li ha mai visti?”.

 

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I PALAZZONI – Ci dirigiamo in automobile verso la zona del centro di accoglienza dalla cooperativa “Il Sorriso”, quello che è sulle cronache di tutti i giornali. Uno splendido tramonto romano, una piccola tregua dal maltempo di questi giorni, illumina le villette unifamiliari tipiche della borgata stile anni venti, per una volta non costruita dal regime fascista, perché Tor Sapienza è stata realizzata da una cooperativa fondata da un ferroviere comunista molisano. Ci dirigiamo verso via Giorgio Morandi, “i Palazzoni”, come li chiamano gli abitanti di qui; arriviamo davanti al centro praticamente insieme al sindaco Ignazio Marino, piombato nella borgata dopo giorni di tensioni da prima pagina. “Sono qui per metterci la faccia”, ha detto il primo cittadino.

 

 

«NON CI FIDIAMO DI NESSUNO» – “Che c’è venuto a fare?” urlano i residenti: “E’ venuto a fare la pace? Parla solo coi giornalisti, dovrebbe parlare col popolo”. Ci avviciniamo: “Questi qua”, ci dice una signora, “dovevano essere uffici e invece ci stanno gli stranieri. Prima era diverso, ci stavano solo i minorenni, poi ci hanno messo anche gli adulti e sono iniziati i furti in casa: a me m’hanno derubato due volte. Qui vivono famiglie normali che non possono più portare i figli al parco o andare a prendere il pane in tranquillità. Vi pare giusto?”. Che cosa vogliono i cittadini? “Devono togliere tutti questi, gli zingari, questi del centro, ne abbiamo le palle piene. Vogliamo il rispetto dei nostri diritti e la sicurezza, vogliamo che il nostro quartiere torni come era, è chiedere tanto? No, glielo dico io, non è chiedere tanto”, conclude la signora. E di Matteo Salvini, ad esempio, i residenti si fidano? “L’ho sentito, a parole sono tutti buoni, ma qui chi c’è? Nessuno. Pure Renzi, che sta facendo? Niente”.

POVERTÀ E INSICUREZZA – “Qui c’è la povertà”, continua Francesca, “e le persone sono esasperate, e saltano fuori queste frasi un po’ fasciste. Io mi ci arrabbio ma non so bene cosa dire, la situazione è difficile. Prendi qui”, ci indica il piazzale davanti al Centro Carni sulla Collatina: “Qui dal tramonto in poi ci saranno quaranta prostitute almeno, con relativi clienti e le automobili. Non ci si può più passare per tornare a casa di sera, e intendo in macchina. E oh, sì, che ti devo dire, è così: camminare la sera è diventato un problema; a me è capitato, qualcuno mi ha dato fastidio. Io e una mia amica, 25 anni, quando finiamo le riunioni in Parrocchia ci dobbiamo far accompagnare a casa. E abitiamo a 600 metri dalla chiesa: ti sembra normale?”.

 

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La situazione però, chiediamo, non sarà così dall’altroieri: “Certo che no, qui è difficile da sempre, però ultimamente la presenza degli stranieri è aumentata, e i disagi anche; e io penso che sia così perché la loro presenza qui è stata mal gestita e anche perché è stata esasperata: giorni fa hanno accoltellato un maghrebino. Qua è tutto complicato, il clima sta peggiorando così anche chi magari vuole dire una parola diversa, magari di accoglienza, o tenta di avere lo spunto in più, di mettersi nei panni di chi non è di qui, niente, ci prova ma si sente in difficoltà, perché ha paura. Temo che ormai il quartiere sia una polveriera”.

IL CAMPO NOMADI E FORZA NUOVA – Arrivati sulla Collatina svoltiamo a sinistra per via Sansoni, e arriviamo a via Salviati. E’ la via del campo nomadi: una lunghissima fila di furgoni bianchi stile Ducato, un’intera valle dominata da baracche, con l’odore dei fuochi tossici che ti accoglie da lontano e arriva fin dentro alle case. Una realtà che riusciamo a mostrarvi con fotografie certo non di qualità, perché sostare davanti all’entrata del campo, pur chiusi in macchina e soltanto per fare due foto, ci fa guadagnare urla e minacce da parte degli occupanti del campo: “Che c***o fai, s****o, ti vengo a prendere!”. Meglio cambiare aria.

 

 

“E ti dico una cosa, dall’altro lato di Tor Sapienza, davanti agli stabili dell’Ex Fabbrica della Fiorucci, di campo nomadi ce n’è un altro, abusivo. Che altro dire? Il quartiere è pieno di associazioni, principalmente di destra”, continua Francesca: “Formalmente sono associazioni culturali, organizzano i giochi l’estate per i bambini. A sinistra c’è poco, c’era il circolo del Partito Democratico ma ha chiuso, lo hanno accorpato con la sede di Centocelle. Poi c’è la Parrocchia. Guarda”, ci dice mentre passiamo su una via, “ad esempio quelli sono ragazzi di Forza Nuova”. Dieci-quindici ragazzi molto giovani, bomber neri, discutono animatamente.

“ZINGARI, NERI E STRANIERI: VIA TUTTI” – Torniamo ai “Palazzoni”. Il sindaco Ignazio Marino c’è ancora, sta terminando la sua visita all’interno del comprensorio popolare. Qui non è Scampia, non è lo Zen, non è Corviale: i “Palazzoni” sono grandi e incombenti, ma all’interno ci sono giardini, giochi per i bambini, un centro culturale.

 

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“Quelli della politica”, urla una donna che ha appena contestato il Sindaco, “dicono, siccome qui è un quartiere popolare, c’è la droga, le prostitute, mettiamoci anche altra m***a. Questo è un quartiere dove poteva nascere la speranza, invece ora dobbiamo faticare per mandare i nostri figli lontano da qui”. Avviciniamo un gruppo di ragazzi, poco più che maggiorenni: “Tutti i nomadi, gli extracomunitari, tutta la razza straniera va presa e mandata via di qui. Le ragazze del quartiere hanno paura ad uscire di casa alle tre del pomeriggio per portare il cane. Intendiamoci”, continua, “se questi vengono qui e non danno fastidio possono anche stare. Ma invece noi li accogliamo e rubano e importunano le ragazze; l’altroieri mi sono affacciata da casa mia al sesto piano e ho visto uno degli ospiti del centro che faceva cose sconce di fronte alla finestra, davanti al computer. A questo punto io ho problemi ad uscire di casa e sì, non mi spavento a definirmi razzista: ma è perché ti ci fanno diventare loro”. E, continua un suo amico, “il problema non è solo delle ragazze: ad un mio amico l’hanno preso in sei. Che fai a quel punto?”

L’ARIA CHE TIRA – Proviamo a raccontare come arriva un migrante in Italia: viaggi della speranza, magari respingimenti in mare, poi Centri di Identificazione ed Espulsione, richiesta di asilo, permesso di soggiorno e permanenza indefinita in centri di accoglienza. Non certo una vita facile. Chiediamo ai ragazzi di mettersi nei panni dei migranti e ripetiamo la domanda: gli sembra che la loro, a conti fatti, sia una situazione facile? Ci pensano un po’. Poi rispondono: “Nonostante tutto, nonostante tutte le difficoltà, bisogna mantenere un comportamento civile. E questi non lo fanno. Vengono qui, sono spesati di tutto e si permettono di buttare il cibo dalla finestra. Noi gli offriamo quello che abbiamo e fanno cose che, se a parti invertite, nel paese da cui loro vengono, facessimo noi, ci taglierebbero la testa immediatamente. Arriva il Sindaco e ci propone pure di dare a noi i trenta euro per portarceli a casa. Ma a casa ci andasse lui”. Ignazio Marino è andato via, in effetti. La folla dai Palazzoni man mano si dirada. Torniamo verso l’automobile, scambiando un’ultima parola con una ragazza che aveva assistito al colloquio con i giovani: tira aria pesante, eh? “Parecchio”, risponde lei.

 

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