Una Turchia nuova per Erdogan. Con i curdi (insieme a sinistre e Verdi) per la prima volta in Parlamento

13/06/2015 di Mazzetta

demirtashdp tsiprasIL SUCCESSO DELLA SINISTRA –

Il successo dell’HDP e di Demirtas, da noi definito come l’Obama o lo Tsipras turco, ma che personalmente paragona la sua piattaforma diventata partito agli spagnoli di Podemos, non ha tuttavia suscitato reazioni preoccupate, a parte quelle scontate dei nazionalisti e dei fan della «turchità», che è ancora protetta con la forza del codice penale. L’HDP è l’evoluzione di una piattaforma che comprendeva partiti di sinistra come il Partito Socialista Rivoluzionario dei Lavoratori, il Labour, il Partito Socialista degli Oppressi, il Partito Socialdemocratico, il Partito Socialista della Rifondazione, i Verdi, il Partito di Sinistra del Futuro, il Partito della Pace e della Democrazia, oltre a gruppi e associazioni di sinistra, femministi e LGBT. Una piattaforma che per la prima volta si è presentata sotto le insegne di un partito che si presenta come socialdemocratico e anticapitalista invece di presentare candidati «indipendenti» e sfuggire così alla soglia di sbarramento. La decisione di correre il rischio di non entrare per niente in parlamento ha pagato e ora per la prima volta i curdi hanno una rappresentanza in parlamento, anche se l’HDP si propone come partito nazionale e rifiuta la dicotomia turchi/curdi.

LEGGI ANCHE: Turchia al voto, Erdogan non ce l’ha fatta

ERDOGAN NON È MORTO –

Lo stesso Erdoğan ha incassato la sconfitta con toni concilianti verso la formazione curda «liberale» e riconoscendo che «la nostra nazione e sopra qualsiasi altra cosa». Un cambio di tono netto rispetto ai discorsi polarizzanti e ansiogeni della campagna elettorale, alla quale ha preso parte con forza anche se da presidente di una repubblica non ancora presidenziale avrebbe dovuto tenersene lontano. Ieri invece ha rivestito panni più acconci e sollecitato i partiti a lavorare per conservare il capitale di fiducia e stabilità accumulato dal paese. S’apre ora quindi una fase di trattative delicate, con l’AKP che rischia di restare con il cerino in mano dopo una sconfitta che lo accompagna al tavolo delle trattative indebolito dall’evidente manifestazione di sfiducia da parte dei turchi, che hanno respinto la chiamata plebiscitaria di Erdoğan e privato per la prima volta dal 2002 il suo partito della maggioranza. Una condizione dalla quale potrà muoversi solo in condizione di ulteriore sfavore verso un altro voto, perché il risultato elettorale impone al partito di maggioranza di rinunciare ad alcune delle sue aspirazioni, non solo a quelle di Erdoğan, e di accogliere le richieste dei potenziali partner, tutti usciti più o meno rafforzati dal voto. Un sacrificio che potrebbe estendersi anche alla gestione della politica estera turca, finora monopolizzata da Erdoğan, riguardo alla quale sono forti le opposizioni dei potenziali alleati. L’AKP resta fortissimo e la crisi di consensi sembra figlia degli ultimi eccessi del suo leader più che di un’erosione della sua solida base di consenso, ma la perdita della maggioranza non passerà senza conseguenze, costringendo i vertici del partito a confrontarsi con una realtà sconosciuta e con l’esperienza inedita di un governo di coalizione.

Share this article