Unioni Civili, Alfano pronto a “pugnalare” la piazza del Family Day
03/02/2016 di Alberto Sofia
«Ma quali barricate e referendum. Alfano tradirà la piazza. L’ha sacrificata in cambio di qualche poltrona di governo». Nel giorno in cui si è aperta la partita delle Unioni Civili al Senato, con le pregiudiziali di costituzionalità e le sospensive respinte con circa 80 voti di margine dalla “maggioranza variabile” targata Pd-M5S-Sinistra-Misto-verdiniani e Autonomie, dai corridoi di Palazzo Madama il grande accusato da chi, da destra e non solo, trama ancora per affossare il disegno di legge Cirinnà, resta il ministro dell’Interno. Perché al di là dei “niet” sui media e della resistenza sbandierata sulla stepchild adoption, si mormora dal Senato, il numero uno del Nuovo Centrodestra è ormai «pronto a “pugnalare”» il fronte del no che si è raccolto attorno al Family Day.
UNIONI CIVILI, ALFANO NON RICEVE APERTURE DAL PD SULLE ADOZIONI. MA NCD PRONTO AL “SOCCORSO” SUL VOTO SEGRETO
«Io schierato? Si, schieratissimo, rifarei tutto: compreso incontrare Gandolfini (leader del Family Day, ndr) al Viminale», aveva rivendicato il numero uno degli ex diversamente berlusconiani a Repubblica, nel tentativo di proporsi come “megafono” e “portavoce” in Parlamento e al governo degli umori della piazza che si era scagliata contro il Ddl Cirinnà. Ma se i promotori del Family Day si erano detti contrari a tutto l’impianto della normativa, Alfano è subito andato a caccia del compromesso. Tanto da proporre al Pd lo stralcio dell’adozione del figlio del partner e dei riferimenti al matrimonio, in cambio del via libera alla legge.
Nulla da fare, dai vertici del Nazareno non c’è stata alcuna sponda. Con lo stesso capogruppo Luigi Zanda che, pur senza sbilanciarsi troppo e registrando come «un’apertura» al dialogo le parole di Alfano, ha confermato come l’adozione del figlio del partner resterà. Anche perché in casa Pd, se si escludono i circa venti senatori “cattodem” capeggiati da Stefano Lepri, si continua a ritenere il testo del disegno di legge già una mediazione. Una proposta di legge più che moderata, come ha ribadito anche in Aula Monica Cirinnà. Il “minimo sindacale“, insistono dalla minoranza e non solo. Non a caso le uniche modifiche considerate dai più accettabili sono soltanto gli emendamenti del senatore siciliano Lumia: quelli già concordati con M5S e Sel che introdurrebbero un esplicito riferimento al Tribunale dei minori come soggetto che decide sulla richiesta di stepchild adoption avanzata dai partner. In pratica, verrà ribadito come non ci sarà alcun automatismo.
Al contrario, lo stralcio non è un’ipotesi che in casa dem considerano in agenda. Tant’è che a fine serata ad Alfano non è rimasto che presentarsi ai microfoni del Tg1 a mani vuote. Rilanciare lo stesso invito che il Pd aveva già rispedito al mittente. E “rievocare” pure quel ricorso a un referendum abrogativo che, spiegano dal Senato, difficilmente verrebbe accettato dalla Consulta, considerato anche come la stepchild sia già prevista dal 1983 per le coppie eterosessuali. E come la stessa Corte abbia già due volte richiamato il Parlamento a coprire un vuoto normativo sulle Unioni Lgbt.
UNIONI CIVILI, L’AMMUINA DI ALFANO E DEL NUOVO CENTRODESTRA
Fin qui, le dichiarazioni di rito e i posizionamenti politici. Buoni però soltanto per i telegiornali. Perché, spiegano da Palazzo Madama fonti trasversali ai gruppi, l’accordo c’è già tra Renzi e Alfano, al di là delle smentite di routine. Come quella di Renato Schifani, che a Giornalettismo ha provato a respingere le accuse. «Non c’è alcun legame tra le nomine governative e le Unioni civili. Non abbiamo incassato nulla, c’erano solo caselle vuote da coprire. E il voto sulle pregiudiziali (avvenuto per alzata di mano, ndr) ha mostrato la nostra posizione». La stessa che sarà mostrata quando si voterà in modo palese. Ben diversa, però, da quella che verrà presa dalla maggior parte di Area Popolare a scrutinio segreto, nei passaggi cruciali dell’articolo 3 (diritti e doveri della coppia) e dell’articolo 5 sulla stepchild, dove il ddl Cirinnà potrebbe rischiare per le trappole delle destre e dei centristi oltranzisti.
Sarà proprio nel segreto dell’urna che l’ala più filorenziana e governista non farà mancare i suoi voti. «Nessun dubbio, l’80% degli alfaniani blinderà il disegno di legge Cirinnà», replica a Giornalettismo il ciellino Mario Mauro. E non è certo l’unico a esserne convinto. Tanto che c’è chi attacca platealmente il gruppo di Area Popolare, dai banchi della Lega. «Vi siete venduti per qualche Ministro e adesso venite, o verrete, qui dentro a dire che difenderete la famiglia e la nostra tradizione», ha attaccato Candiani. E anche tra le file dei verdiniani e del gruppo Misto-Sel, che voteranno a favore delle Unioni Civili blindando i numeri di Renzi e coprendo le possibili resistenze tra i cattolici, si considera scontato che soltanto una decina di “irriducibili” di Ncd faranno davvero le barricate: «Sacconi, Formigoni, Albertini soltanto perché è rimasto a secco nel rimpasto e qualcun altro come Marinello e Bruno Mancuso. Tutti gli altri voteranno a favore…», provocano dall’Ala di Verdini (19 senatori, con l’ultimo arrivo di Pagnoncelli dai CoR di Fitto, che rischia ormai di perdere il gruppo, ndr). E gli altri di Ap? C’è la componente “sudista” che è stata accontentata con la poltrona riassegnata a Tonino Gentile. E quella iper-renziana – con in prima fila le senatrici Vicari, Bianconi, Chiavaroli (altra neo sottosegretaria) – è tutt’altro che convinta di portare avanti lo scontro. Divergenze mostrate anche nella riunione dei gruppi di Ap, dove pure deputati come Cicchitto hanno rivendicato la necessità di cercare un compromesso, ragionando sull’affido rafforzato.
Tradotto, alla fine da Ncd si farà soltanto “ammuina”. «Una messinscena», c’è chi accusa pure da Forza Italia, altro partito da dove il fronte pro-Cirinnà confida di incassare qualche voto. All’ex delfino del Cav invece credono in pochi: Anche perché, c’è chi lo attacca dal Senato, «se Alfano avesse voluto far saltare il Ddl Cirinnà o le adozioni, avrebbe potuto sempre minacciare la crisi di governo». E invece tutti si sono affrettati a chiarire dentro Ncd che, anche in caso di maggioranze variabili decisive per far approvare il ddl Cirinnà, per l’esecutivo non ci saranno rischi. «Sarebbe grave un patto con M5S, ma non è con le minacce che si ottengono i risultati…», aveva replicato lo stesso capo del Viminale. Ma se i risultati non ci saranno è perché, una volta incassate le poltrone, gli alfaniani hanno già messo in conto di “tradire” quella stessa piazza del Family Day che spiegano pubblicamente di sostenere. Non è un caso che lo stesso Gandolfini, rivolto ad Alfano, abbia avvertito il leader a scoprire le carte. «I parlamentari del Nuovo Centrodestra devono prendere atto di questo atteggiamento di totale chiusura del Pd e riflettere seriamente sul loro sostegno all’esecutivo. A chiederlo è lo stesso popolo della famiglie che sabato ha affollato Circo Massimo». Scenario a dir poco utopistico, con Alfano e i ministri in quota Ap che non hanno alcuna intenzione di mollare gli incarichi di governo. E con un partito che sarebbe a dir poco impreparato se si tornasse oggi al voto, con l’aggregazione dei Moderati ancora tutta da costruire. Tradotto, di uscire dal governo non se ne parla nemmeno per Alfano. Né di rompere con Renzi.
I PONTIERI PD CONVINTI: PARTE DEI RIBELLI DEM NON ROMPERÀ
Ragionamento che vale anche per una parte del gruppo dei senatori dissidenti cattolici del Pd, soprattutto tra i più vicini al premier. Non è un caso che, in attesa che sia chiara la cornice del voto e che si decida sulla data della riunione del gruppo, i pontieri dem siano convinti che «almeno un terzo dei ribelli rientrerà». Allineandosi alle posizioni della maggioranza del partito. Ma al Nazareno c’è anche un’altra certezza: il passaggio rischioso tra i numeri precari di Palazzo Madama dovrà essere l’unico, da bissare senza modifiche a Montecitorio. Per approvare al più presto una legge che l’Italia aspetta ormai da troppo tempo, rimasta ultima in Europa a non riconoscere i diritti della comunità Lgbt. Ma soprattutto per consentire a Renzi di presentarsi alle Comunali di giugno con la bandiera dei diritti da sventolare. Un’arma per recuperare consensi a sinistra, persi tra le ombre di Verdini e del Partito della Nazione.